Certo che parlare ancora di pandemia può essere noioso, capisco. Però è un argomento che, trattato spesso male, può riservare qualcosa di buono. Dopo tante discussioni inutili, fake news e polemiche, conoscere bene un argomento, sapere di cosa parliamo, ci consente non solo di essere più coscienti e preparati ma anche di difenderci meglio da false notizie e bufale.
Sicuramente parlare di biologia, virologia o immunologia sembra qualcosa di poco piacevole. Ma ci proviamo.
Con l'aiuto del dott. Giuliano Parpaglioni (biologo) che ha già collaborato in passato con il mio blog (negli anni "pionieristici" della divulgazione scientifica sul web!).
Con l'aiuto del dott. Giuliano Parpaglioni (biologo) che ha già collaborato in passato con il mio blog (negli anni "pionieristici" della divulgazione scientifica sul web!).
Due articoli, anzi uno abbastanza lungo ma che divido in due per maggiore leggibilità.
Leggetelo con leggerezza.
A Giuliano un grazie.
A Giuliano un grazie.
Due anni di pandemia, due anni di problemi enormi dal punto di vista organizzativo, sanitario e sociale. In questi due anni abbiamo imparato parole nuove, che ormai sentiamo anche a livello colloquiale: Coronavirus, proteina spike, anticorpi, vaccino a mRNA.
Molti sono abituati a sentire parlare di queste cose, ma la diffidenza che si ha verso i vaccini, gli attacchi agli hub vaccinali e la diffusione degli alternativi che instillano paura nella popolazione dimostrano che, per molti, queste parole sono ancora misteriose.
Eppure, nascondono un mondo affascinante: capire queste parole significa capire perché il corpo umano reagisce in un dato modo, perché il virus muta e perché abbiamo bisogno di un vaccino. I dettagli sono complicati, ma cercherò di semplificare, iniziando a parlare di cosa succede alle cellule del nostro corpo. Dovrò necessariamente sorvolare sui dettagli, spero che gli addetti ai lavori perdonino le inevitabili imprecisioni.
La biologia cellulare
La cellula, ovvero: da dove spuntano le proteine
Le cellule del nostro corpo hanno tutte la stessa struttura: una membrana esterna fatta di grasso in cui sono inserite una quantità di proteine, un ambiente interno pieno di organelli con le funzioni più disparate e immersi in acqua, e un nucleo, separato dall’ambiente acquoso interno, di nuovo da una membrana fatta di grasso.
Nell’ambiente acquoso compreso tra il nucleo e la membrana esterna avviene la maggior parte delle cose che avvengono in una cellula. Ad esempio, qui troviamo i ribosomi, che sono organelli dalla struttura piuttosto complicata e che hanno un compito molto importante: sintetizzare le proteine.
Per farlo, i ribosomi raccolgono dall’ambiente acquoso gli amminoacidi e li legano insieme: una proteina è infatti una catena di centinaia, a volte migliaia di amminoacidi.
Come fa il ribosoma a sapere quale amminoacido va messo in quel dato punto della proteina? Ora ci arriviamo.
Nel nucleo della cellula risiede il DNA, che tutti conosciamo anche come patrimonio genetico o materiale genetico. I geni, in particolare, sono parti di DNA che funzionano da stampo per la sintesi di una molecola simile, l’RNA messaggero, o mRNA.
Dato che il DNA non può uscire dal nucleo, anche l’mRNA si forma nel nucleo, ma lui può uscirne. Una volta uscito dal nucleo incontra i ribosomi, e qui avviene la magia: i ribosomi sanno leggere l’mRNA e a ogni porzione sanno abbinare uno specifico amminoacido. Una volta usato dai ribosomi, l’mRNA viene degradato [distrutto, ndr].
Riassumendo: un particolare gene, ovvero una piccola porzione di DNA, fa da modello per un mRNA, questo esce dal nucleo e viene letto dai ribosomi che fanno una vera e propria traduzione: traducono il linguaggio dell’mRNA in quello delle proteine. Esistono migliaia di tipi diversi di proteine perché esistono migliaia di geni che danno origine a migliaia di mRNA che vengono tradotti dai ribosomi.
Ultima cosa da sapere: le proteine hanno forme tridimensionali specifiche e dalla loro forma dipende la loro funzione. La sequenza di amminoacidi che la compone decide se la proteina è globulare, filamentosa, a forma di uncino, a forma di Y e così via. Anche solo la sostituzione di un singolo amminoacido su migliaia potrebbe cambiare la forma della proteina, modificando l’efficacia della sua funzione.
Gli anticorpi sono proteine, i linfociti B sono la loro fabbrica.
Avendo chiaro ora il funzionamento di una cellula in generale, possiamo parlare delle cellule che producono gli anticorpi: i linfociti B. Queste cellule hanno una vita molto rischiosa: la maggior parte di esse, infatti, muore prima di riuscire a maturare. Il fatto è che sono dannatamente pericolose: producono anticorpi, delle proteine speciali capaci di legarsi ad altre strutture e scatenare così una risposta immunitaria contro quelle stesse strutture.
Esiste una sola cellula, o comunque poche, per ogni tipo di anticorpo possibile. Il problema grande è che quando dico ogni tipo di anticorpo, intendo anche che ci sono cellule che attaccherebbero le strutture corporee. Durante la maturazione, qualsiasi cellula riconosca qualcosa viene uccisa (accade alla maggior parte delle cellule neonate), rimangono solo quelle che non riconoscono nulla e che, quindi, si scaglieranno contro strutture che non esistono nell’organismo.
Cosa succede quando entra qualcosa di estraneo? Succede che viene processata dall’organismo (ad esempio fagocitato da un macrofago) e alcuni frammenti vengono esposti sulle membrane cellulari (come ho detto: sulle membrane ci sono anche proteine); dopo qualche tempo e qualche passaggio aggiuntivo, questi frammenti arrivano ad attivare i linfociti B, che reagiscono di conseguenza.
La reazione consiste nella produzione di anticorpi e nella moltiplicazione. Più cellule ci sono, più anticorpi si producono e si riesce a contrastare meglio l’agente esterno.
Questa cosa richiede tempo, mediamente un paio di settimane per la prima volta che si viene a contatto con un agente nuovo. Dal secondo incontro, i linfociti B sono aumentati di numero e sono già pronti a intervenire, quindi ci vuole molto meno tempo.
Gli anticorpi sono proteine dalla forma a Y e sono capaci di riconoscere alcune strutture specifiche, porzioni di proteine o piccole molecole. Una volta riconosciute, si legano a esse e scatenano la risposta immunitaria, facilitando il compito delle altre cellule del sistema immunitario nel combattere l’aggressore.
Può farlo in due modi: legandosi a una struttura importante, per impedirgli di funzionare, o anche legandosi alla struttura estranea e venendo riconosciuto dai macrofagi, che faranno pulizia di tutto. Quando l’agente esterno è un batterio, questo secondo effetto è preponderante: il batterio viene così riconosciuto e fagocitato.
Quando invece è un virus, è importante anche la cosiddetta neutralizzazione, ovvero gli si deve impedire di funzionare. Ma che cos’è un virus?
I virus e il sistema immunitario
Una brutta notizia avvolta in una proteina
Sir Peter Medawar è stato un biologo britannico, premio Nobel per la medicina nel 1960. Fu lui a dichiarare che i virus sono una brutta notizia avvolta in una proteina, e come definizione è decisamente adeguata.
I virus, infatti, sono organismi estremamente semplici e piccoli, molto più piccoli di un batterio. Non hanno una struttura cellulare, non hanno un loro metabolismo, sono strutture biochimiche capaci sono di moltiplicarsi all’interno di una cellula, sono parassiti che sfruttano le cellule per diffondersi e che non hanno senso di esistere senza cellule da infettare.
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La loro struttura più semplice è formata da un qualche materiale genetico, DNA o RNA, circondato da una struttura proteica. Alcuni, oltre a questo, hanno anche un rivestimento di grasso simile alle membrane delle cellule, con tanto di proteine inserite in esso. Dato che la membrana esterna, quando c’è, è di grasso e dato che la membrana della cellula è pure di grasso, a volte l’ingresso del virus prevede la fusione delle due membrane, per poi far entrare dentro la cellula solo l’interno del parassita. Altre volte è più complesso e prevede una azione attiva della cellula. In tutti i casi, però, c’è bisogno prima di tutto di un riconoscimento: una proteina del virus deve riconoscere una proteina della cellula, per poter attivare qualsiasi tipo di interazione.
Nel caso di SARS-CoV-2, conosciamo tutti gli attori in causa: la proteina del virus è la proteina spike, mentre quella della cellula è chiamata recettore ACE-2.
La cosa funziona un po’ come il velcro: le due proteine si riconoscono e si uniscono. Formato questo legame, il virus può entrare.
SARS-CoV-2 libera nell’ambiente acquoso della cellula il suo materiale genetico, rappresentato da una molecola di mRNA che contiene vari geni, quindi codifica per la proteina spike e per tutte le altre proteine virali. Questo mRNA fa quel che fanno tutti gli mRNA prodotti dalla cellula: si unisce ai ribosomi che, ciechi all’origine del filamento e obbedienti alla loro natura, su quello stampo sintetizzano le proteine del virus. A quel punto è fatta: il virus produce le proprie proteine sfruttando la cellula, si moltiplica e si diffonde nell’organismo.
Il contrattacco. I linfociti B contro il virus
Una volta entrato, [il virus, ndr] deve moltiplicarsi quanto più gli è possibile prima che il sistema immunitario reagisca. Come ho già detto, se è la prima volta che il virus entra nell’organismo, ci vuole tempo per avere le difese contro di lui: ecco perché la malattia dura giorni o settimane. Purtroppo, per alcuni questo tempo è anche troppo, si aggravano e rischiano la vita.
La maggior parte delle persone, per fortuna, guarisce, e lo fa grazie agli anticorpi prodotti dai propri linfociti B, che si legano alla proteina spike del virus impedendogli di legarsi al recettore ACE-2 e facilitandone l’eliminazione.
La risposta immunitaria è ovviamente molto complessa, non riguarda solo i linfociti B: esistono parecchi tipi di cellule del sistema immunitario e tantissime molecole che vengono prodotte contro il virus e a favore di una attivazione sempre più potente della risposta immunitaria. Attenzione: a volte è addirittura questa attivazione molto potente a causare danni, perché il sistema immunitario è programmato per distruggere gli agenti esterni, e facendolo può ovviamente causare danni collaterali. Un esempio di questa reazione estrema è la famosa tempesta di citochine: vengono prodotte moltissime molecole che stimolano il sistema immunitario e quando avviene in parti sensibili del corpo (come, ad esempio, i polmoni) il danno può essere letale.
Per fortuna un evento del genere non è sempre presente.
E ora cosa succederà?
Lo vedremo nella prossima parte dell'articolo che sarà pubblicato tra pochi giorni.
Lo vedremo nella prossima parte dell'articolo che sarà pubblicato tra pochi giorni.
Alla prossima.