C'è un'idea abbastanza diffusa (perché istintiva): più controllo la mia salute, più sarò al sicuro da malattie.
Quest'idea, semplice e banale, si è diffusa dovunque, soprattutto negli strati della popolazione più attenti alla propria salute ed ovviamente, dove c'è una richiesta, si crea subito un'offerta. I servizi di controllo delle malattie sono aumentati, ambulatori e centri privati, esami del sangue e di altro tipo che controllano tutti gli organi, test che si possono fare anche a casa. Sembra così evidente che mettere in discussione una cosa del genere crea imbarazzo.
Finché qualcuno ha riflettuto.
Se faccio molti controlli, ovviamente, ho la possibilità di trovare molti problemi di salute, o meglio, di trovare qualche valore anomalo (che non per forza è segno di un problema di salute). Questi valori anomali mi obbligheranno ad approfondire le cose.
Oltre all'inevitabile perdita di denaro e tempo, oltre allo stress di una "anomalia", sarò costretto ad effettuare altre analisi e queste analisi, tutte di approfondimento quindi più precise, sono molte volte invasive, anche rischiose. Tutto questo non significa che per forza farò bene alla mia salute, anzi, potrei anche fare molto male. Troverò malattie, disturbi, problemi ma trattarli, curarli, sarà sempre un guadagno di salute?
Alcune volte no. Se per esempio il trattamento fosse molto pesante e ricco di effetti collaterali dovrei metterlo sulla bilancia con il beneficio.
Chi farebbe radioterapia per un nevo cutaneo benigno? Nessuno. Proprio perché il rischio del trattamento sarebbe superiore al beneficio, meglio lasciarlo dov'è.
Chi toglierebbe un angioma al fegato?
Nessuno: sottoporsi ad un intervento chirurgico espone a rischi ed effetti collaterali maggiori di quelli che causerebbe un angioma epatico.
Un esempio pratico.
Se facessi continuamente
un test del
PSA (
antigene prostatico, un esame che si usa per controllare anomalie della prostata), rischierei di trovare più frequentemente un valore anomalo, questo mi porterebbe ad eseguire altri esami, da quelli solo fastidiosi (visita, ecografia) a quelli più invasivi e pericolosi (biopsia). Se trovassi una malattia (per esempio un tumore) rischierei di dovermi sottoporre ad intervento chirurgico (e quelli sulla prostata possono essere molto invasivi ed invalidanti) ed a terapie anch'esse importanti e con effetti collaterali. A prima vista si potrebbe pensare che, vista la presenza di una malattia, l'intervento e le terapie siano giustificate ma non è sempre così. Nel caso della prostata, ad esempio, sappiamo che alcuni tipi di tumore hanno un'evoluzione molto lenta, lentissima, nell'ordine dei decenni e che, se per esempio la diagnosi la ricevessi a 70 anni, discutere sull'opportunità di operare o meno non sarebbe una cattiva idea, perché di fronte ad un grande intervento chirurgico, c'è la possibilità che la malattia diventi mortale quando la mia età sarà di 85 anni e quindi forse, morirò prima per altri motivi, dipende da tante cose. Insomma, la "linea di condotta" non sarebbe così scontata e lineare ma avrebbe bisogno di informazioni, valutazioni, confronti. Sono oltretutto tanti i fattori che possono influenzarla.
Per questo motivo non ha senso fare continuamente il dosaggio di questo PSA ma converrebbe farlo ogni tanto (per esempio ogni due anni) oppure controllare se si appartiene a particolari classi di rischio. Chi non è a rischio può farlo anche meno frequentemente e sempre sotto consiglio del medico.
L'idea che convenga fare le cose quando è giusto e non quando capita è sempre più diffusa nella medicina moderna, in tutti i suoi campi.
Fare il Pap test ogni anno o ogni sei mesi potrebbe essere inutile e dannoso. Qualsiasi lesione, anche la più piccola o anche quella che sarebbe scomparsa da sola, richiederebbe un intervento, quindi qualcosa di invasivo, che ha dei rischi e che può condizionare la mia vita futura. Per questo il Pap test non va fatto "di continuo" (così da controllarsi di frequente) ma ogni tre anni. Questa periodicità emerge dagli studi scientifici. Sono le linee guida delle società scientifiche che poi decidono cosa conviene alla popolazione.
Fino a qui mi sono spiegato?
Qualche giorno fa mi imbatto in una pubblicità televisiva: il "mese della prevenzione urologica". In pratica la Società Italiana di Urologia (SIU) invitava i maschi del nostro paese ad effettuare una visita urologica di controllo, gratuitamente, a scopo preventivo. Il tutto sponsorizzato (con tanto di logo visibile nello spot) dalla Menarini, azienda farmaceutica che produce, tra le altre cose, anche farmaci urologici (per esempio per i disturbi sessuali maschili) ed ultimamente sta spingendo molto un integratore utile (a loro dire) per i disturbi della prostata. L'azienda, in collaborazione con la società di urologia, incoraggia questa campagna.
Nulla di strano, convegni, campagne e corsi sono da sempre sponsorizzati (pagati, sostenuti, aiutati) da aziende farmaceutiche, costano tanto, sono impegnativi e, senza un sostanzioso contributo, molte non potrebbero essere realizzate, l'importante è dichiararlo. Si realizza però un problema che ultimamente in medicina è sempre più pesante: il conflitto di interessi.
Le società scientifiche sono i gruppi (ne esistono decine, per ogni specialità medica) che decidono per un territorio (una nazione, un continente) le linee guida. Cioè come dobbiamo curarci, controllarci, cosa è meglio per noi e cosa è utile. Possiamo immaginare il loro impatto sulla salute pubblica.
Permettere che un'azienda farmaceutica che produce farmaci per (ammettiamo) i problemi cardiaci, aiuti e sostenga finanziariamente una società scientifica che si occupa degli stessi problemi, configura un conflitto di interessi. Crea cioè una sorta di dipendenza, una "simpatia" non per forza in malafede o patologica ma sicuramente condizionante. Solo per "ringraziare" l'azienda che tanto fa per la società scientifica, quest'ultima potrebbe favorire un farmaco della stessa azienda o preferirlo ad un altro di un'altra azienda.
Se si uniscono gli interessi della società italiana di urologia (diffondere cultura urologica scientifica, decidere le linee guida in urologia nel nostro paese) con quelli dell'azienda farmaceutica che produce farmaci urologici, interessi legittimi (vendere), il rischio di un condizionamento è più che reale.
Sono conosciuti i problemi di finanziamento di una società scientifica ed è anzi ammirevole che una di queste si impegni in una campagna sociale ma la società di urologia, pur collaborando con chi preferisce, dovrebbe evitare (dal mio punto di vista) di avere come "sponsor", in una campagna che punta a trovare uomini con problemi prostatici o erettili, chi produce farmaci per i problemi prostatici o erettili.
Almeno per puro buon senso e buon gusto.
Non che sia per forza un atto in malafede o "segreto", può essere semplicemente un condizionamento psicologico. Se l'azienda aiuta ogni mia iniziativa, ogni mia difficoltà, non ci penserò due volte a ricambiare. Per questo il conflitto di interessi, pur non essendo un reato o qualcosa di proibito, è pur sempre un problema delicato. Tanto che se ne parla sempre di più e tanto che oggi dichiarare un conflitto di interessi è praticamente un obbligo morale.
Non lo scopro certo io, sono stati realizzati
fior di studi e lavori per capire fino a che punto un conflitto di interessi possa condizionare le scelte mediche o gli
studi scientifici e
condiziona, questo è fuor di dubbio. Sta alla serietà del singolo medico, della società di medici, dell'intera categoria, non trasformare un normale e fisiologico conflitto di interessi (una collaborazione meno interessata possibile quindi) in un vero a proprio accordo ("do ut des", se mi aiuti a fare il convegno io ti aiuterò a vendere il farmaco).
Nel caso della campagna urologica il conflitto di interessi, ribadisco, legittimo, è evidente.
Ma c'è qualcosa in più.
In occasione della campagna, la società di urologia distribuisce
un opuscolo ricco di informazioni. Fornisce anche un "decalogo della prevenzione", la prevenzione dei problemi urologici in 10 punti. Consigli utili insomma, finché non si arriva ad un punto che lascia davvero sbalorditi.
"Effettua, dopo i 50 anni, almeno una volta l’anno
un prelievo di sangue per controllare il psa e il testosterone"
Il PSA (antigene specifico prostatico) è una proteina prodotta dalla prostata. Negli anni passati fu protagonista di grande entusiasmo, sembrava che, dosandolo, controllandone i livelli, si potessero prevenire i tumori della prostata. Bella notizia.
Se non fosse che con il tempo si è scoperto che non sempre un aumento del PSA indica un tumore della prostata e che, anche se lo indicasse, non sempre quel tumore avrebbe rappresentato un pericolo per la persona. Controllare continuamente il PSA quindi, potrebbe esporre a trattamenti eccessivi, a spese e costi ingiustificati, a cure pericolose e persino gravemente debilitanti.
Per questo motivo l'entusiasmo nei riguardi del PSA si è
ridotto negli anni ed oggi non si parla più di esame di screening ma di controllo da valutare da caso a caso ed anzi, in molti casi, è sottolineato come non si tratti di un esame da fare alla leggera, che il suo valore diagnostico è molto discutibile e che sicuramente non vada proposto come screening. Un
lavoro della Cochrane ha sottolineato come l'uso del PSA come metodo di screening del cancro alla prostata non abbia diminuito la mortalità per questa malattia e persino il confronto tra esame della prostata (esplorazione digitale) e controllo del PSA sembra
bocciare quest'ultimo, nessuna differenza di mortalità tra le persone appartenenti ai due gruppi.
Per questo, tutte le società scientifiche del mondo, consigliano di effettuare questo controllo solo una volta dopo i 50 anni e poi ricontrollarlo secondo vari parametri, ogni due anni se si è a rischio, anche ogni otto se non si è a rischio (ed il rischio dipende da altri fattori, tra i quali l'età). Lo dicono società del calibro della
Società Europea di Urologia, di
quella americana, dell'
American Cancer Society ed
altre. Il concetto è abbastanza chiaro e condiviso. e sottolinea, tra l'altro, di fare questi controlli solo dopo attenta valutazione (con il medico) e colloquio per discutere i rischi ed i benefici dell'esame. Questo è l'atteggiamento di tutte le società medico-scientifiche del mondo. Nessuna sostiene di sottoporre a test tutti gli uomini oltre i 50 anni, tutte sottolineano i potenziali rischi di questo comportamento.
L'ASCO (Società americana di oncologia clinica) che è un po' il "riferimento" mondiale per la diagnosi ed il trattamento dei tumori, crea
precise limitazioni. Per un uomo con una lunga aspettativa di vita discutere con il medico i rischi ed i benefici di un dosaggio di PSA, per chi non ha molta aspettativa di vita (<10 anni) non bisogna proporre nessun dosaggio.
La società americana di urologia, addirittura,
sconsiglia un controllo routinario negli uomini dai 40 ai 54 anni non a rischio.10>
L'opuscolo della SIU, sorprendentemente, dice invece di eseguire il controllo "almeno una volta l'anno" e lo dice a tutti, non fa distinzione, non specifica chi dovrebbe farlo e non dice di rivolgersi almeno al proprio medico per decidere sul proprio caso personale (e cosa significa "almeno una volta l'anno"? Due volte? Dieci? Venti?).
Eseguire un dosaggio del PSA almeno una volta l'anno è un dato che non trova riscontri nei pareri dell'urologia mondiale, sconsigliato da qualsiasi società di urologia, che non ha basi, sconsigliato dalla letteratura scientifica. La SIU ha diffuso cattiva informazione medica che può avere anche delle conseguenze sulla salute delle persone (come abbiamo visto trattare "esageratamente" è un rischio!).
La cosa non finisce qui perché nello stesso opuscolo si parla di dosaggio "almeno una volta l'anno" del testosterone (ormone maschile, importante per la funzione sessuale) ed anche questo non ha nessun riscontro in letteratura scientifica o in altre linee guida. Anche in questo caso si rischierebbe di "curare" persone che non sono malate, con tutte le conseguenze del caso.
Poi il "colpo di scena", lo stesso opuscolo consiglia addirittura a tutti gli uomini che programmano una gravidanza, l'esecuzione di uno spermiogramma (esame del liquido seminale) così, per accertarsi che non vi siano problemi. E qui, oltre a non avere nessun riscontro scientifico, rasentiamo la follia. Controllarsi continuamente prima di un problema, prima di avere un dubbio, un sospetto, è da tempo considerato un comportamento sconveniente e dannoso. Questo la SIU lo sa? Immagino di sì.
Ed ecco che il conflitto di interessi con l'azienda che produce farmaci per i problemi della prostata e per i deficit dell'erezione diventa un fantasma che invade la mente, ecco che si pensa alla creazione di malattie e malati, ecco che la società scientifica che non si basa sulle conoscenze scientifiche fa dimenticare in un attimo le lotte contro ciarlatani ed inventori di cure dei quali la società scientifica dovrebbe rappresentare l'opposto.
Passa in secondo piano anche il primo consiglio del decalogo per la salute della prostata. Un consiglio alimentare. Si potrebbe pensare ad una dieta sana, ad evitare alimenti irritanti, forse all'evitare il consumo di alcol. No.
Il primo consiglio della lista è quello di bere tanta acqua. Tanta.
E che acqua? "Oligominerale, leggera, a basso contenuto di sodio e
diuretica"
Ma ormai siamo entrati nel tunnel del complottismo spinto ed il fatto che il partner principale della società di urologia (con presenza nella homepage del sito) sia proprio, precisamente e puntualmente una marca di acqua minerale ci fa sorridere. Perché fa tenerezza.
Perché di fronte al consiglio n°1 del decalogo di bere acqua "oligominerale, leggera, a basso contenuto di sodio e diuretica", lo sponsor della società definisce la propria acqua "oligominerale XXYY [...] contiene solo lo 0,002% di sodio, favorendo l’eliminazione di liquidi".
C'è poco da scherzare, vero?
l fatto che questi consigli siano diffusi tramite una campagna pubblicitaria è ancora più preoccupante. Il danno che può conseguirne non è limitato, si rischia di diffondere il concetto che controllarsi sempre, per tutto e continuamente, sia giusto e benefico ma questo va esattamente all'opposto rispetto a quanto dice la medicina di oggi. Ogni trattamento ed ogni esame va valutato, calibrato, caso per caso e soprattutto bilanciando rischi (che ci sono sempre) e benefici (che non ci sono sempre). Termini come "overdiagnosis" (eccesso di diagnosi) o "overtreatment" (supertrattamento) non sono termini inusuali in medicina ma attualissimi. Fare tanto non significa fare meglio e nemmeno fare qualcosa per il paziente, non bisogna fare tanto ma fare il giusto.
Se faccio un esame del sangue ogni settimana, prima o poi, troverò un valore anomalo che tenderò a "curare" (anche se quell'anomalia non mi identificasse come malato) con le conseguenze del caso. Il fatto che la società italiana di urologia abbia diffusso un'informazione del genere non è quindi una bella notizia.
L'articolo potrei concluderlo qui.
Ma non posso.
Perché appena illustrata questa cosa
su Facebook, sono comparsi nel post alcuni commenti esagitati.
L'attacco è stato frontale: "ignorante", "disinformatore", "ciuccio", "complottaro!"
Un linguaggio da trafficante di armi che puntava a sottolineare come io stessi fornendo informazioni false, fuorvianti e pericolose.
Non si trattava di persone a caso, non di complottisti o antivaccinisti ma di medici. Urologi, per la precisione, proprio i medici che si occupano dei problemi di cui parlo.
Secondo loro la mia informazione era non solo sbagliata ma anche pericolosa, da ignoranti, perché l'opuscolo della società di urologia diceva il giusto e non bisognerebbe demolirlo così.
Visto che tutti possiamo sbagliare (anche se io, prima di dare una notizia controllo e ricontrollo ripetutamente e quasi maniacalmente) ho fatto una domanda ben precisa: "che io sappia da nessuna parte è consigliato un controllo del PSA per tutti gli uomini, "almeno ogni anno", come dice l'opuscolo della SIU". Ho chiesto allora, proprio agli specialisti del settore, chiarimenti, c'è una linea guida che sottoscrive quanto detto dalla società italiana di urologia? Esiste una conferma?
Niente, gli urologi, in preda a smania distruttiva hanno iniziato ad attaccarmi, "ignorante!", "sei un ginecologo, non puoi parlare!", incredibilmente, i colleghi, stavano usando gli stessi identici argomenti e toni che usano con me i ciarlatani, gli antivaccinisti, i seguaci di un guru o di un santone.
Ma sono abituato e, senza perdere la calma, ho richiesto: "bene, mi mostrereste quindi questa linea guida, un protocollo, un indirizzo che spieghi che serva fare un dosaggio del PSA almeno una volta l'anno come scritto nell'opuscolo della SIU?".
Niente, le linee guida non arrivano, tutti ce l'hanno con me (a dire il vero alcuni urologi no ed altri mi hanno scritto in privato per dirmi che avevo piena ragione ma loro "non potevano esporsi") ma nessuno sa dirmi dove avrei sbagliato. Sono un ignorante disinformato ma nessuno è stato capace di informarmi.
Allora provo a chiedere di nuovo, tra le critiche e le aggressioni: "mi mostri per favore una società scientifica che dica che bisognerebbe fare un controllo del PSA almeno una volta l'anno?".
Niente. Non arriva
niente.
Un collega azzarda qualcosa del tipo: "le società di tutto il mondo consigliano un controllo ogni due anni, quella italiana preferisce un controllo l'anno". Che è più o meno come dire "ho ragione io perché ho ragione io".
Questo mi ha fatto riflettere, quando discuto con omeoseguaci gli insulti sono gli stessi e loro sono considerati fanatici, quando mi aggrediscono gli antivaccinisti le aggressioni sono identiche e li consideriamo estremisti.
Qui sto discutendo con medici, specialisti, colleghi che usano gli stessi argomenti, stesse insinuazioni ed invece di basarsi sui dati, sui fatti, sulle evidenze (non è mai comparso questo fantomatico documento che confermasse l'affermazione della SIU) usano argomenti scorretti, disonesti e d'altronde non ho fatto un'accusa sorprendente ho semplicemente evidenziato un conflitto di interessi come un altro che, c'è poco da fare, è evidente.
Che poi si sarebbe potuto mantenere un comportamento diverso. Gli urologi avrebbero potuto dire "
in effetti il consiglio è scritto male, sarebbe il caso di migliorarlo", oppure "che errore, bisogna rimediare, i pazienti vanno informati bene e noi urologi vogliamo proprio questo!". Invece no. Negare, attaccare, insultare.
Ma arriva l'insulto finale. Quello che non mi sarei mai aspettato.
All'ennesima mia richiesta di una sola linea guida che confermasse le parole dell'opuscolo della SIU, un collega urologo, invece di darmi questa linea guida, scrive: "
Mi rendo conto che l'attività di blogger genera un discreto indotto".
Questo è un "
ki ti paka" dei bei tempi, delle migliori tradizioni. La persona che dice una cosa del genere è un collega, un medico, un urologo, uno al quale ho chiesto documentazione scientifica su un fatto medico e che, senza avermela fornita, ha iniziato ad insultare. E vi risparmio il dopo, per pietà (sua), tanto poi ha cancellato tutto (anche questo in perfetto stile "bimbominkia").
Unica scusante: da quanto riesco a capire il collega è molto giovane, probabilmente ancora preda di una visione poetica ed "universitaria" della medicina, a tratti esaltata da film e telefilm dove ci sono i buoni e i cattivi ed i medici, dopo attenta riflessione, salvano dieci vite a puntata trapiantando un cuore con i denti e riattaccando un arto con la penna laser del Lidl, una visione da "
Mulino Bianco" dove tutto è liscio e lineare, tutti sono buoni e dove quello che dicono ai congressi è verità. Non lo ricordo bene ma probabilmente alla sua età ero così anche io.
Poi passa.
Ecco, credo che questa storia sia un esempio di cosa significhi cultura nel senso più ampio del termine.
Rompere degli schemi, dei ruoli (la medicina buona, i medici buoni.,.) è disorientante, distrugge delle sicurezze e prevede gli stessi meccanismi, sia se si parla di "farmaci dannosi" (che non è possibile!) sia se si parla di "omeopatia inutile" (ma su di me ha funzionato!). Le reazioni (scomposte) sono le stesse. C'è quindi tanta strada da fare, per i medici e per i pazienti, per il cittadino e le autorità.
Quando ci chiediamo come facciano le persone a credere ai ciarlatani, come fanno a cadere vittime di truffa, di credere all'impossibile. Si cerca di spiegare il metodo scientifico, cosa significa "statistica", epidemiologia, come si valuta uno studio o una rivista scientifica, siamo in tanti ad impegnarci sul campo, a metterci faccia, tempo e soldi (il collega che favoleggia di miei guadagni tramite questo blog deve sapere che ci ho sempre rimesso).
Il problema è più vasto, molto vasto.
Io insisto nello spiegare le pseudomedicine, ripeto continuamente che l'omeopatia è zucchero, spiego perché il bicarbonato non cura il cancro perché se non si ha spirito critico per delle cose così evidenti e banali non lo si avrà a maggior ragione per cose molto più subdole (controllati tutti i mesi, è un bene!), non si scoprirà il condizionamento dell'industria nella medicina, nemmeno ci accorgeremo di diventare numeri del business della salute.
E non c'entra il livello culturale, in questo caso lo abbiamo visto.
Parliamo di medici, persone che hanno studiato, che probabilmente devono confrontarsi con la ricerca, gli studi, la statistica. Persone che devono valutare l'efficacia di un trattamento, che curano i pazienti. Che devono valutare se un esame o un trattamento sia utile o meno, conveniente o meno. Che nemmeno davanti a tutte le linee guida del mondo, riescono a vederci chiaro.
Non stupiamoci quindi quando una mamma dice di aver curato il figlio con la medaglietta della Madonna o l'altra non vaccina perché nei vaccini c'è il mercurio.
Non stupiamoci quando ci sono medici che prescrivono omeopatia o altre pratiche magiche.
Non stupiamoci e riflettiamo.
Anzi, rifletta chi ha permesso tutto questo.
Alla prossima.
AGGIORNAMENTO (08/05/17): La
pubblicazione di questo post nella pagina Facebook di Medbunker ha causato ulteriori fenomeni di isteria medica. Interessantissimo ed educativo leggere i commenti. Anche in questo caso, oltre alle accuse (da parte di medici) di scrivere sciocchezze seguite da mie gentili richieste di darmi qualche riferimento che confermasse quanto scritto nell'opuscolo non è arrivato nulla. Nessuno riesce a confermare quanto scritto dalla società di urologia, nessuno riesce a smentire quanto scritto da me, però tanti sono infuriati. C'è qualcosa che non va.
Un medico si è presentato con commenti del genere:
"
Gentile collega, me ne sbatto delle linee guida dementi se trovo dei tumori in gente (con disuria aspecifica) di 45 anni. E resto convinto di fare bene."
Mi sembra interessante, che dite?
:)
Per dare un'idea schematica delle ragioni per le quali lo screening del cancro alla prostata tramite dosaggio del PSA non è più considerato una pratica da seguire, ecco una grafica (tradotta da me) del
National Cancer Institute americano. Su 1000 uomini sottoposti a screening, la morte evitata grazie ad esso sarà una (forse), quell'omino in nero. Le altre saranno danni o falsi positivi che possono complicarsi.