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venerdì 27 giugno 2014

Fuggire dalla realtà: la storia di Jessica Ainscough

Articolo aggiornato dopo la stesura iniziale.

Quando ti occupi per tanto tempo di un argomento finisci per conoscerne gli aspetti più nascosti, quelli invisibili dall'esterno, le pieghe più profonde di certi comportamenti e posso dire che in questi anni ho compreso molti dei meccanismi (soprattutto psicologici) che rendono tante persone vittime di ciarlataneria e pseudoscienza, cosa che mi è servita moltissimo, anche professionalmente.
In questi anni ho risposto a tanti dei quesiti che mi ponevo sui diversi aspetti dell'uso di medicine alternative da parte della gente. Le guarigioni spiattellate su internet? Probabilmente rari casi di guarigione spontanea fatti passare per successi della pseudomedicina, così pensavo. Le persone che si rivolgevano ai ciarlatani? Disperati, a volte solo ignoranti che confondevano il guaritore con una persona degna di attendibilità. Con gli anni molti dei miei atteggiamenti sono cambiati, spesso (quasi sempre!) le guarigioni "miracolose" erano semplicemente dei falsi creati ad arte dal guaritore e le persone che cedono alle lusinghe delle medicine alternative non sono per forza ignoranti e disperate. Uno degli ultimi dubbi era quello relativo a chi insiste a seguire una cura senza efficacia e lo fa anche quanto l'inutilità della sua scelta è evidente, scritta sul corpo, una realtà, evitata. Una sorta di fuga: rendersi conto di aver intrapreso una strada sbagliata ma troppo tardi per ammetterlo.

Negli ultimi anni ho anche conosciuto realmente o via mail alcune persone che dichiaravano pubblicamente di essere guarite grazie ad una medicina alternativa. Tanto convinte da metterci la faccia, il nome ed il cognome. Difficile trattarsi di "attori" e allora per mia curiosità e grazie alla loro disponibilità mi sono messo a disposizione per controllare quelle guarigioni dal punto di vista medico.
Con mia sorpresa non solo le guarigioni non esistevano (bastava controllare le carte) oppure esistevano ma non erano dovute alle pseudocure, ma anche il paziente, che pubblicamente giurava di essere guarito, in privato ammetteva la sua sconfitta. In uno di questi casi, dopo l'ammissione fattami faccia a faccia, nella vita reale, appena tornato in quella virtuale di internet il paziente ricominciava a parlare di guarigione e "remissione", come se nulla fosse (anche per questo ho smesso questo tipo di valutazioni).
Ecco, lì ho capito che c'è una forte componente psicologica in questi comportamenti. Molti dei "guariti" con pseudomedicine non ammetteranno mai di essersi sbagliati, probabilmente lo sanno benissimo, ma non torneranno indietro nei loro passi. Si sono esposti troppo, hanno coinvolto chi li conosce (e li porta ad esempio di "successo" della ciarlataneria), hanno mentito a se stessi ed agli altri, a quel punto l'unica possibilità è continuare a recitare la parte del guarito. Alcune delle storie che ho conosciuto sono poi finite tragicamente.
Ammetto che questa per me (prima di fare certe esperienze) era la possibilità più remota, ma mi sono dovuto ricredere davanti ai complessi meccanismi della mente umana.

Non è facile (ed a volte non è ammesso) raccontare storie reali, bisognerebbe avere dei dati pubblicabili e spesso si tratta di persone che subirebbero un danno troppo grande dal vedere rivelata una realtà che essi stessi rifiutano, si tratta di vicende private, ma l'occasone per mostrarne una si è presentata conoscendo una storia pubblica avvenuta negli Stati Uniti. Dati ed immagini pubbliche, storia diffusa dalla protagonista, esperienza evidente ed indiscutibile. Molto interessante nella sua tragicità e che può servire da spunto per molte discussioni.
Questa è la storia di Jessica Ainscough, una bella ragazza, già modella australiana con il desiderio di sfondare nel mondo dello spettacolo, un sogno presto interrotto da una brutta notizia.

Jessica Ainscough, il ritratto della bellezza
Jessica riceve infatti nel 2008 la diagnosi di sarcoma epitelioide del braccio sinistro a 22 anni. Rivoltasi ad un medico si sottopone ad una dose di chemioterapia.
Il sarcoma epitelioide è una rara malattia tumorale maligna che colpisce soprattutto i giovani, caratterizzata da una progressione lentissima ed una buona sopravvivenza se in terapia. A cinque anni (malattia localizzata, come quella di Jessica) la sopravvivenza è del 75% a dieci anni ancora del 42-55%. Chi si è sottoposto a chirurgia ha il 78% di sopravvivenza a 5 anni contro il 33% di chi non si è sottoposto a chirurgia. Le buone possibilità di sopravvivenza dipendono anche dallo stadio della malattia, con il tempo ed in mancanza di cure infatti, la malattia tende a dare metastasi, disturbi importanti e diventa sempre meno curabile, la fase terminale prevede anche metastasi a distanza, inizialmente più rare. Oggi si tende quando possibile ad evitare amputazioni preferendo interventi locali seguiti e/o preceduti da chemio e radioterapia sempre locali, molto efficaci.
La malattia è a lenta progressione e se curata in tempo ha quindi buone possibilità di guarigione, il problema è quando la malattia è trascurata, si diffonde e quindi la cura è molto complicata.
Nonostante il ciclo di chemioterapia, Jessica ha una recidiva e le viene comunicato che l'unica soluzione possibile resta l'amputazione dell'arto, possibilità drammatica ma ai tempi l'unica possibile (come detto oggi si attua una terapia meno aggressiva). Considerata la giovane età della paziente e la scarsa estensione della malattia, l'intervento chirurgico potrebbe darle ottime possibilità di sopravvivenza. Jessica è scioccata (comprensibilmente) e rifiuta l'intervento, si mette così alla ricerca spasmodica di altre soluzioni e le trova su internet, dove legge di una terapia alternativa che dice di poterla salvare, si tratta della "cura Gerson".
La terapia Gerson è una pseudomedicina molto conosciuta negli Stati Uniti che unisce ad uno strettissimo regime alimentare a base di vegetali e frutta (quasi tutta in forma di frullati), anche clisteri di caffè (generalmente cinque al giorno) da fare a casa. La Gerson promette di curare qualsiasi tipo di cancro in poco tempo. Non si conoscono persone guarite dalla terapia, non vi è alcuna evidenza scientifica che questa cura possa guarire un tumore.

Jessica si lascia convincere ed inizia la "terapia Gerson", litri di succhi di frutta (un frullato ogni ora), verdure e clisteri di caffè, uno dietro l'altro (5 al giorno), parla di disintossicazione, di metalli pesanti e candida, tutti concetti che chi conosce le teorie della medicina alternativa, prima o poi ha sentito, va in Messico, dove ha una clinica la figlia del dott. Gerson (l'inventore della cura, ormai deceduto), Charlotte, che la "cura" e la istruisce su come comportarsi (al costo di 15.000 dollari). Poi decide di raccontare la sua storia su internet, prima nel suo blog, poi su Facebook. Raccoglie sempre più consensi, è convinta di guarire e dice che ce la farà. Decide di fondare una società, lei è una combattente e la chiama "la guerriera del benessere" (The wellness warrior), con la quale inizia a fare dei tour in tutti gli Stati Uniti ed inizia a raccontare la sua guarigione, cosa che la rende notissima e molto seguita, una paladina del "naturale", diventa "la donna che si è autocurata il cancro", per finire a rappresentare un "guru" delle terapie "naturali". Crea gruppi di discussione ed un vero e proprio "impero" della salute, video, interviste, vendita di integratori, mostra la sua bellezza, sempre elegante e sorridente, raccoglie denaro per finanziare le sue conferenze che sono sempre più affollate, la gente paga volentieri 100 dollari a testa per sentirla raccontare di essere guarita, si circonda di collaboratori ed addetti stampa. Scrive un libro, vendutissimo e continua i suoi tour nei quali racconta la storia della sua guarigione. Tra un'apparizione televisiva e l'altra la ragazza racconta della madre che, ammalatasi di tumore mammario, ha rifiutato anche lei qualsiasi cura per essere trattata con la "disintossicazione" dai metalli pesanti, diete (anche lei la dieta Gerson come la figlia) e naturopatia e diventa anch'essa testimonial delle cure alternative per il cancro: anche la madre, a dire di Jessica, guarisce. Poi, per qualche mese, scompare dalle cronache, Jessica invece continua a raccontare in tutti gli Stati Uniti la sua storia.

Un articolo racconta la storia di madre e figlia che abbandonano le cure per seguire le proprie idee: "Paziente, curati da solo: Jessica e la sua mamma dicono che stanno battendo il cancro con i rimedi naturali. Si ingannano da sole?"

Qualcuno però riflette sul fatto che dal momento della diagnosi sono passati meno di cinque anni e quindi la sua sopravvivenza già non rappresenterebbe qualcosa di stupefacente, ma c'è qualcosa che colpisce ancora di più alcuni dei suoi seguaci più affezionati. In tutte le foto ufficiali Jessica nasconde il braccio colpito dalla malattia: l'inquadratura, la luce, il vestito, c'è sempre qualcosa che non permette di vedere le condizioni dell'arto malato, qualcuno arriva a parlare di foto modificate e tagliate ad arte per non mostrare il punto di insorgenza della malattia. Finché qualcuno trova delle foto private, non "ufficiali" e senza posa. Il suo braccio appare danneggiato, pieno di gonfiori, ulcere, macchie scure. Qualcuno le chiede come mai, cosa fossero quelle lesioni visto che lei si dichiarava guarita e si tratta oltretutto delle tipiche lesioni cutanee di quel tipo di tumore. Jessica prima non risponde, poi dice che si tratta di un "linfedema" (un gonfiore causato da problemi di circolazione linfatica) ma non sembra proprio trattarsi di questo, ha ben altre caratteristiche, poi parla di danni della chemioterapia che poi diventano "parzialmente dovuti alla chemioterapia" ma dopo cinque anni ed un solo ciclo di chemio, è piuttosto improbabile che quelle lesioni (oltretutto in peggioramento) siano dovute alla chemio, anzi, hanno proprio l'aspetto delle lesioni tipiche della malattia di Jessica e d'altronde le immagini della ragazza nel 2009 mostrano una mano ed un braccio assolutamente sani.

2009, non ci sono segni particolari sull'arto superiore di Jessica

Sembra proprio quindi che la malattia sia andata avanti, inesorabilmente, senza aver ottenuto nessun beneficio dalle centinaia di litri di frutta e dai clisteri di caffè, siamo nel 2011 e la "guarigione" mediatica di Jessica accusa qualche colpo.

Lesioni cutanee (tipiche della malattia) sul braccio sinistro di Jessica, sempre più evidenti. Con lo stesso braccio prepara i i clisteri di caffè che avrebbero dovuto guarirla, siamo nel 2011.

Qualcuno glielo fa notare, Jessica si innervosisce, cancella i commenti di chi le chiede il motivo di tanto mistero, del perché definirsi guarita quando è evidente che la malattia sia ancora lì e sia, anzi, avanzata.
Così la ragazza cerca di recuperare, dice di non aver mai parlato di guarigione, di non aver mai detto che la dieta Gerson potesse guarirla, ma qualcuno ha conservato i suoi vecchi annunci e le mostra le affermazioni pubbliche di miglioramento, come nel 2010, quando diceva "...come dice il dott. Gerson, seguire strettamente la sua dieta per almeno due anni fa guarire dal cancro come non può nessun farmaco", frase che contrasta con quanto dice oggi "dicevo dall'inizio che la dieta Gerson da sola non poteva guarirmi". Ma la ragazza, ormai personaggio pubblico, dimentica di aver detto troppe volte di essere guarita o in via di guarigione, era a suo dire un'evidenza, per lei e sua mamma: "stiamo tutte e due benissimo, vedo con chiarezza che la cura sta guarendo il mio tumore al braccio".

Ma non è così, altre foto di Jessica infatti mostrano le gravi condizioni dell'arto sinistro della ragazza, la mano è deformata, il braccio colpito dalla malattia addirittura piegato e più corto del destro, la ragazza presenta tutti i sintomi tipici della malattia in assenza di terapia, è evidente che mentre Jessica continua a preparare frullati e clisteri, raccontando al mondo di essere guarita, il tumore non abbia alcun arresto, ma lei risponde che quelle sono le conseguenze delle terapie "standard" e che un "massaggio oncologico olistico" ha migliorato le condizioni del braccio che sta tornando normale. Ma non è finita e mentre Jessica continua i suoi "tour" a favore della "medicina naturale", crolla un altra colonna della sua vita. La mamma, colpita da tumore mammario e che aveva rifiutato le cure per seguire dei trattamenti alternativi, diventando una paladina delle "cure naturali", esattamente come la figlia, muore dopo due anni e mezzo dalla diagnosi (l'aspettativa di vita per un tumore mammario non trattato è di 2,7 anni, coincidenza che mostra come clisteri e diete equivalgano a non fare nulla), vi risparmio il calvario della povera donna che in fase terminale continuava ad essere definita dalla figlia "in fase di disintossicazione". Un serio colpo comunque alla credibilità della "guerriera del benessere". Nel sito della clinica Gerson, nessuna notizia di questa tragica fine.

2012: la malattia avanza
 

Siamo ai giorni nostri.
Ora Jessica appare nelle sue conferenze con una vistosa fasciatura che ricopre in parte ciò che è diventato un tumore non curato, la mano resta deformata, come il braccio, le lesioni peggiorano ed appaiono dei linfonodi ingrossati sotto l'ascella, chi la incontra di presenza parla di macchie in tutto il braccio che appare gonfio e con lesioni cutanee. Ma è sempre sorridente, qualcuno dice che "finge" di esserlo e la accusa di disonestà. C'è chi la accusa addirittura di aver fatto tutto per soldi, avere sfruttato la sua storia per raccogliere denaro, fare conferenze a pagamento, diventare una "star".

Jessica con la mano deformata coperta da una fasciatura

La realtà sembra evidente anche al più suggestionabile dei suoi fans (ormai Jessica ha più di 50.000 seguaci su Facebook) che le chiedono il motivo di quello stato dopo anni di rassicurazioni, conferenze nelle quali raccontava come fosse guarita da un tumore grazie alla dieta, un libro che incoraggiava le persone a non sottoporsi a cure mediche perché dei frullati le avrebbero salvate. Jessica si trova di fronte ad un mostro che ella stessa aveva creato: "non ho mai detto di essere guarita dal cancro, mai una volta, sono seguita da uno staff medico altamente preparato", dice su Facebook rispondendo a chi le chiedeva il perché di quella scelta. Ma le sue parole risuonavano ormai da troppe parti, dichiarazioni come "guarita dal cancro" ("cancer free") o "dire addio alle medicine", frasi come "la cura ha funzionato" erano il suo cavallo di battaglia e rimangiarsi la parola sarebbe stato ammettere di aver detto bugie. Jessica è un personaggio pubblico e riceve centinaia di messaggi e richieste di chiarimento, sono tante le persone che hanno rifiutato le cure per seguire i suoi consigli, così nel suo blog puntualizza:
"I’m not “in remission” or “cancer free”: I’m living and thriving with cancer, six years after diagnosis [...]. I also don’t go around saying “I have cancer” because I don’t like to give power to the dis-ease. Whenever someone asks me about my health and how I’m feeling I say, “I’m awesome".
Trad.: Non sono in remissione o guarita: sto vivendo e crescendo con il cancro, sei anni dopo la diagnosi [...]. Non vado nemmeno in giro dicendo "ho il cancro" perché non mi piace dare potenza alla malattia. Quando qualcuno si informa sulla mia salute e mi chiede come sto, dico: "splendidamente".

Dopo queste parole sono gli stessi "fans" a migliaia, a svegliarsi da un "sogno" di guarigione inesistente, qualcuno in maniera addirittura aggressiva perché si è sentito preso in giro, chi ha seguito i suoi consigli e purtroppo non ce l'ha fatta non può più protestare. Nella sua pagina Facebook appaiono a questo punto veri e propri attacchi, accuse, "bugiarda", "disonesta", addirittura "truffatrice" per i soldi raccolti nei vari giri promozionali e Jessica cancella ed elimina ogni "disturbatore", chiunque osi mettere in dubbio il risultato delle sue "cure". Un finale del tutto inaspettato ma che non cambia il percorso della ragazza, l'immagine e la storia che ormai rappresentano la sua principale attività non possono essere "macchiate" da proteste ed insinuazioni, tutto deve far parte di una favola a lieto fine e così continua con le foto dove è ritratta in piena salute (ma con il braccio nascosto), raccogliendo spettatori a centinaia ed ospitate in TV, proprio come una vera star guarita dal cancro con i frullati di verdura.

Non so se Jessica cambierà ancora strada o se ormai reciterà fino alla fine il copione scelto, di sicuro questa è una storia che mostra come, nonostante la realtà gridi forte la gravità della malattia, qualcuno decida di voltarsi e vivere un'altra vita, illudendosi di sconfiggere la più grave malattia umana con sciocchezze senza utilità. Questa volta la realtà è venuta a galla perché nonostante gli sforzi Jessica non ha potuto nasconderne le conseguenze, ma pensate a chi ha un problema non evidente dall'esterno (per esempio un tumore del sangue o della prostata), chi ha una malattia non "visibile", ecco, tanti "guariti" che ho incontrato in questi anni di blog vivevano proprio così la loro guarigione mai esistita, mentivano a loro stessi ed agli altri; così ci sarebbe da discutere sul senso psicologico di questi comportamenti, su chi sta vicino a queste persone che si dovrebbe accorgere di "qualcosa che non va", sui motivi che spingono a nascondere la verità in un momento così delicato e su un aspetto che ho sottolineato diverse volte: meglio una dolce bugia che un'amara verità, a tutti i costi. Personalmente non credo ad una ragazza che possa aver creato tutto per truffare il prossimo, al contrario credo che si sia illusa di una soluzione semplice ad un problema grave e che ormai, anche davanti alla realtà, abbia semplicemente rifiutato di accettarne le conseguenze, a quel punto era troppo coinvolta pubblicamente per tornare indietro. Penso anche che per una ragazza di 22 anni l'idea di un'amputazione possa essere davvero devastante e non posso che provare una simpatia spontanea per chi ha scelto di lottare, a modo suo, ma di farlo, spererei anche in una risoluzione del problema, insomma, questa non è una bella storia ma una sconfitta.
Non illudiamoci poi di sentirci più forti di Jessica o che avremmo fatto sicuramente una scelta diversa. Ogni condizione è personale, soggettiva e piena di variabili che solo la persona interessata può conoscere.

Però questa storia, indipendentemente dai motivi e dai particolari, ci mostra come sia debole l'essere umano, proprio quando servirebbe tanta forza e come sia quindi condizionabile da chi vende miracoli.

Libertà di cura significa anche libertà di informazione, consapevolezza su ciò che possiamo fare.
Sta ad ognuno di noi scegliere la via che riteniamo più opportuna, senza dimenticare che non abbiamo spesso i mezzi culturali per poterlo fare senza consultarci con i professionisti, chi conosce il problema, possiamo chiedere aiuto alla medicina scientifica, quella che poggia su basi solide, possiamo fuggire, cullarci sperando che il miracolo accada, credere al primo ciarlatano che passa.
Avete fatto caso che le false cure per il cancro sono sempre "semplici e banali"?
Succede perché rispondono al nostro desiderio che la soluzione al problema grave sia lì, pronta, semplice e banale.
Sappiate però che è molto meglio guardare in faccia la realtà, lottando ogni giorno per noi ed i nostri cari, che nasconderla dietro ad un paravento vendendoci a cure inutili che ci rubano salute, soldi e dignità, detto chiaramente è un fuga che non serve a niente.
Come ripeto sempre, nessuno può obbligarci ad una o all'altra scelta, sta a noi decidere, ma assicurandosi di essere coscienti e realmente informati sulle strade possibili e ricordando che quando c'è un problema c'è sempre un avvoltoio pronto a convincerci che la sua idea, quella che lui vende, è la migliore. Per lui naturalmente.

Alla prossima.

Aggiornamenti

20/12/14:

Purtroppo le notizie non sono ottime.
Jessica ha aggiornato il suo pubblico sulle sue condizioni di salute. Peggiorate. Il tumore è progredito ed ora, oltre a presentare una massa all'arto colpito (diagnosticata con una TAC), ha reso la ragazza fortemente anemica per un'emorragia dalla zona interessata dalla malattia (in particolare in regione ascellare). Lei si definisce "in ginocchio" ed in una fase di riflessione su ciò che la aspetta.
Nonostante tutto le auguro di risolvere nel migliore dei modi il suo problema.

28/02/15:

Jessica è morta il 26 febbraio 2015.

sabato 14 giugno 2014

Storia di Marco e di chi lo ha aiutato.

Ho incontrato tante persone in questi anni di divulgazione scientifica. Mi chiamano per parlare di medicina, di ciarlataneria, per spiegare la ricerca e la scienza, ma ogni occasione di incontro per me è una crescita, non è mai una formalità, capisco, apprendo, cresco. Storie che non conoscevo, persone eccezionali, drammi, sconfitte e vittorie.
In uno dei tanti incontri ai quali partecipo in tutta Italia ho conosciuto una storia, non unica o rara ma molto comune. In questo caso si parla di un bambino, di uno che era bambino e poi è cresciuto: Marco.
Lui è un bimbo come tanti, allegro e vivace, va a scuola, come tutti i bambini ed ha una passione per la natura che lo porta a frequentare i boy scout con i quali si impegna in mille avventure. Un giorno, uno uguale agli altri, mentre cammina con il fratello, una macchina lo investe in pieno: un incidente che lo lascia a terra arrivano i soccorsi, il fratello si salva lui è gravemente ferito.

Marco è vivo, ma le lesioni riportate lo costringeranno ad una vita immobile, paralizzato, in coma, in quella condizione chiamata "coma vigile": non hai possibilità di movimento e parola ma capisci ciò che ti succede, il suo problema è chiamato anche in un modo che chiarisce il dramma di queste vite, si chiama "sindrome del locked in", ovvero del "chiuso dentro", un essere vivente chiuso in un corpo immobile, ma cosciente. Passano i mesi e dopo la tragedia iniziale inizia il grande calvario del "dopo". Marco accompagnato dalla sua numerosa famiglia, genitori e quattro fratelli, è controllato e seguito, arriva il parere dei medici, di centri specializzati tra quelli più moderni, tutti parlano chiaro e la sentenza non è delle più piacevoli. Purtroppo per lui non ci sono molte possibilità di ripresa, ma con un lavoro continuo, preciso, fatto di cure, riabilitazione, affetto e stimoli, Marco potrà interagire con l'ambiente senza muoversi ma restando vivo e sveglio. Le proposte di ricovero sono tante e la famiglia le esamina con attenzione  e così passano alcuni mesi nei quali Marco è ospite in vari reparti per persone come lui; al suo letto si alternano amici, parenti, ma lo stesso personale dell'ospedale diventa parte di quella battaglia, una sorta di famiglia allargata che consente a Marco piccoli passi che non lo porteranno alla guarigione ma gli permetteranno di apprezzare l'affetto che lo circonda. I genitori del ragazzo sono contattati dall'immancabile ciarlatano che propone la cura sicura e semplice, il "miracolo impossibile", ma con sorprendente razionalità la risposta è un rifiuto, Marco non sarà venduto a chi vuole rubare soldi e dignità.

Parla con gli occhi Marco. Un battito di ciglia è la risposta alle domande che gli fanno, ma riesce anche irrigidendo le gambe a dire se un esercizio gli piace o non lo fa stare bene, sembra quasi sorridere quando di fronte ad una battuta solleva l'angolo della bocca. Tutto diventa abitudine e le operazioni che sembravano insormontabili, gli interventi che sono possibili sono con mani esperte, le emergenze, diventano quotidianità, mamma e papà si trasformano in infermieri, medici, fisioterapisti, sono loro che con l'aiuto del personale riescono a gestire al meglio quel figlio che amano tanto.
Con il tempo questa consapevolezza diventa una scommessa: le stesse cose che Marco faceva in ospedale avrebbe potuto farle a casa, è difficile, molto difficile, si sa, ma con l'impegno, l'affetto e la forza di una famiglia non esistono ostacoli, così la decisione è presa, Marco torna a casa.

Proprio nel suo ambiente inizia qualcosa che è più di una bella storia, nella stanza di Marco c'è sempre qualcuno, uno della famiglia o un estraneo, tutti fanno qualcosa.
Il volontario legge una rivista e Marco lo guarda, l'infermiere controlla quel groviglio di cavi e la mamma lo riempie di carezze, aspirarlo, pulirlo, sono gesti quotidiani ma continui. È una gara di affetto, letteralmente, anche i colleghi di lavoro dei genitori organizzano i turni per permettere di accudire il figlio, si muove praticamente una città e la ULS locale concede un piccolo contributo economico extra, alla fine quel gruppo di improvvisati "terapeuti" sta facendo persino risparmiare alle casse dello stato ed i genitori si appoggiano alla fede, che li aiuta a sopportare un dolore troppo grande. Gli scout, i vecchi compagni di infanzia, organizzano i turni di assistenza, c'è chi ha prestato il suo servizio civile alle cure del ragazzo, chi si occupa di guidare la macchina che porta i volontari a casa sua ed un centinaio di persone si alternano nei vari compiti. Marco cresce, diventa un ragazzino, un giovane ed è sempre circondato, giorno dopo giorno, da altre persone, amici e sconosciuti, tutti attorno a lui.

Chiuso dentro il suo corpo, non è "chiuso a casa", al contrario, esce, trasportato dal papà e dalla mamma o dagli amici quando c'è una bella giornata, passa un pomeriggio nel campo scout, ha sempre compagnia. Un disabile, ma non è solo. Non lo ha abbandonato nessuno, né le persone né le istituzioni. Per il suo compleanno si organizza una festa, gli amici ballano tra palloncini e musica assordante e Marco sorride, con le ciglia.

Questo è fondamentale per lui e per la famiglia che non si è mai sentita abbandonata.
Gli anni passano,con Marco crescono anche i suoi genitori, che fanno sempre più fatica a gestirlo anche solo fisicamente, ma nulla cambia, la magnifica rete di sostegno che si è creata attorno a lui è esemplare, non stiamo parlando solo di operatori che lavorano in cambio di uno stipendio ma di un gruppo di persone che si danno il cambio per fare qualsiasi cosa, di semplici cittadini, di ragazzi che tra un'uscita ed una vacanza passano alcune ore a far fare ginnastica al loro amico.
Il tempo è inesorabile, la mamma di Marco muore, troppo stanca, ormai malata.
Il papà è anziano anche lui ma può contare sugli altri quattro figli che, assieme ai volontari, non smettono di stare vicino al suo figlio più debole.
All'età di 34 anni anche Marco non ce la fa e ci lascia, dopo 22 anni di coma ed al funerale c'è una folla immensa.
Il papà, quando possibile racconta la sua storia, quella di un bambino che ha visto la sua vita trasformarsi troppo presto, quando hai un intero futuro davanti, quando i tuoi pensieri sono i giochi e le corse. Marco non poteva correre più, ma ha corso con le gambe di tanti suoi amici, tanti conoscenti e volontari, persone che hanno fatto quello che le sue gambe e le sue mani non potevano fare. Nessuno lo ha abbandonato, nessuno ha "lasciato fare" agli altri, ognuno per quanto competeva ha fatto qualcosa ed ha donato a Marco le gioie che gli spettavano e l'affetto che meritava, neanche le istituzioni se ne sono lavate le mani con un'ora istituzionale di fisioterapia, si sono curate di lui, si sono informate, preoccupate, date da fare. Si chiama solidarietà e solo una società civile può comprenderla e renderla reale.


Questa dovrebbe essere una storia quotidiana, normale, non un'eccezione.
Quando la società, le istituzioni, la gente, si prendono cura in tutti i modi dei più fragili e deboli, sta facendo semplicemente quello che è giusto.
Abbandonarli, ignorarli voltandosi dall'altra parte, significa condannarli.
Quando ho ascoltato questa testimonianza ho avuto un groppo alla gola, vedere quel padre che raccontava emozionato la storia del figlio, conoscere le sue amarezze e le gioie, ricordare la moglie scomparsa, è stato duro, ma una bella lezione. Avevo parlato poco prima di false medicine, imbrogli sulla salute, "guru" incompresi che hanno scoperto la "falsa" cura per tutte le malattie e poi, come uno schiaffo emotivo, arriva il papà di Marco a dire la sua.
In quel momento ho pensato che se nessuno lasciasse sole queste persone, probabilmente i ciarlatani resterebbero chiusi nel loro delirio, non avrebbero a chi vendere le loro illusioni, perché la famiglia di Marco era consapevole non ci fosse nulla da fare per il figlio ma ha riempito la sua vita di tanto affetto che già quella era una cura, non miracolosa o illusoria ma reale, efficace. Ecco chi dovrebbero essere i nostri "guru", gli esempi da imitare, il tempo da prendersi tra una sciocchezza ed un impegno inutile.
Se c'è una base di umana creduloneria e di inevitabile speranza in chi ha una malattia grave, c'è anche una parte di colpa di chi, avendo come scopo quello di occuparsi dei più deboli, si volta dall'altra parte lasciando che gli avvoltoi aggrediscano le prede a disposizione, solo chi è abbandonato si aggrappa a chiunque, anche ai disonesti. Il papà di Marco dice "quando le famiglie hanno il conforto della solidarietà, non crollano".
Ecco, io prima di qualsiasi cosa, di qualsiasi discussione, di qualsiasi provvedimento sociale, politico ed economico, farei di tutto perché i nostri simili più deboli e fragili non siano mai lasciati soli, siano assistiti a tutti i costi, siano fatti sacrifici per loro, ma che non siano mai abbandonati, mai isolati.
Mai.
"Perché è la vita, non la morte, a non avere confini" (G. Marquez).

Alla prossima.


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Nota:

Mercoledì 18 giugno alle ore 17,00 sarò a Treviso per un incontro, organizzato da Telethon, sul tema: "Salute e bugie: tra inganni mediatici e falsa medicina". Patrocinio del Comune di Treviso.
Sala Verde di Palazzo Rinaldi (palazzo comunale, centro città)- ingresso libero.