Un argomento che sicuramente attirerà la curiosità di molti di voi. Avete presente quando vi dicono "lei è intollerante ai farinacei" oppure "lei è allergico al latte", quanti di voi si sono prestati a "test" di intolleranza in certe farmacie o erboristerie? A quanti hanno fatto afferrare dei cilindretti di metallo? Ancora peggio, a quanti hanno messo una boccetta con una sostanza in una mano e nell'altra un'altra boccetta?
Insomma, quante bufale in questo campo?
Beh, per parlarne ho chiesto a chi di test ed allergie se ne intende, ci parlerà proprio di questo e sarà un viaggio molto interessante. Ringrazio quindi la dott.ssa Sandra Perticarari, biologa, che mi ha fatto il piacere di scrivere su un argomento così interessante e precisamente documentato (come si fa quando si parla di argomenti scientifici). Buona lettura!
==
Allergie, intolleranze alimentari e...bufale.
Hanno nomi che sembrano acronimi di esperimenti spaziali: VEGA, ALCAT, EAV, SARM, DRIA, invece sono test cosiddetti alternativi per la diagnosi di allergie e intolleranze alimentari. Ogni volta che mi ritrovo a parlare con qualche amica, almeno il 50% ritiene di essere “allergica” a qualcosa, il 70% pensa di essere intollerante e il 40% ha eseguito test dai nomi assurdi, per confermare intolleranze a un numero esagerato di cibi. Se sfoglio qualche rivista femminile mi trovo sommersa da consigli su alimenti da evitare. Latte e latticini, zucchero, farina di frumento, e ora anche farina di mais (transgenica!) sono demoni ammantati sotto appetibili spoglie, ma pronti a fare danni appena ingeriti.
Non parliamo poi di internet dove da un lato proliferano nei forum al femminile e nei social network allarmismi sui cibi quotidiani (pane e latte appunto), mentre da un altro abbondano consigli dietetici su integratori, sostanze naturali alternative, probiotici come lo yoghurt, che in questo caso perde la sua veste lattario-casearia e si trasforma in un quasi farmaco, panacea per ossa e intestino. Perché un aumento così tangibile di patologie riferite agli alimenti? E soprattutto perché colpiscono prevalentemente donne? Per quest’ultimo quesito sarebbe forse opportuno interrogare un sociologo o uno psicologo, ho delle teorie, ma non sono supportate da esperienze professionali, né documentabili. Per quanto riguarda l’aumento di “reazione avverse” al cibo, chiamiamole così in assenza di una diagnosi precisa, i soliti catastrofisti affermano, che l’inquinamento, i cibi industriali, la scarsa reperibilità di prodotti genuini, (e forse gli OGM) ne siano responsabili.
Ma vediamo se è vero. Innanzitutto dobbiamo fare chiarezza sui termini, chiameremo genericamente “reazione avversa al cibo” ogni forma di disturbo riferito all’ingestione di un determinato cibo. In questo ambito si distinguono le vere e proprie allergie agli alimenti, che sono reazioni immunologiche ad alcuni componenti alimentari (proteine), che scatenano una produzione di anticorpi da parte dell’organismo. Gli anticorpi prodotti sono di due tipi: quelli chiamati IgE quando la reazione avviene entro pochissimo tempo dall’ingestione del cibo incriminato, e i sintomi sono solitamente vomito, orticaria, prurito, asma e difficoltà respiratorie, fino al grave shock anafilattico. Oppure quelli detti IgG (reazione di tipo ritardato) quando i sintomi appaiono dopo diverso tempo, anche giorni dall’ingestione dell’alimento e sono di carattere variabile, dalla diarrea ad altre manifestazioni anche non correlate al tubo digerente. Poi esiste la “intolleranza alimentare” termine spesso confuso con l’allergia, che invece è un disturbo che non coinvolge il sistema immunitario, ma è dovuto o a carenze di enzimi specifici che servono a “digerire” l’alimento (come ad esempio l’enzima lattasi per l’intolleranza al lattosio), o ad un effetto tossico-farmacologico di qualche sostanza contenuta nell’alimento stesso (ad esempio i solfiti, i coloranti o additivi chimici).
Insomma, quante bufale in questo campo?
Beh, per parlarne ho chiesto a chi di test ed allergie se ne intende, ci parlerà proprio di questo e sarà un viaggio molto interessante. Ringrazio quindi la dott.ssa Sandra Perticarari, biologa, che mi ha fatto il piacere di scrivere su un argomento così interessante e precisamente documentato (come si fa quando si parla di argomenti scientifici). Buona lettura!
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Allergie, intolleranze alimentari e...bufale.
Hanno nomi che sembrano acronimi di esperimenti spaziali: VEGA, ALCAT, EAV, SARM, DRIA, invece sono test cosiddetti alternativi per la diagnosi di allergie e intolleranze alimentari. Ogni volta che mi ritrovo a parlare con qualche amica, almeno il 50% ritiene di essere “allergica” a qualcosa, il 70% pensa di essere intollerante e il 40% ha eseguito test dai nomi assurdi, per confermare intolleranze a un numero esagerato di cibi. Se sfoglio qualche rivista femminile mi trovo sommersa da consigli su alimenti da evitare. Latte e latticini, zucchero, farina di frumento, e ora anche farina di mais (transgenica!) sono demoni ammantati sotto appetibili spoglie, ma pronti a fare danni appena ingeriti.
Non parliamo poi di internet dove da un lato proliferano nei forum al femminile e nei social network allarmismi sui cibi quotidiani (pane e latte appunto), mentre da un altro abbondano consigli dietetici su integratori, sostanze naturali alternative, probiotici come lo yoghurt, che in questo caso perde la sua veste lattario-casearia e si trasforma in un quasi farmaco, panacea per ossa e intestino. Perché un aumento così tangibile di patologie riferite agli alimenti? E soprattutto perché colpiscono prevalentemente donne? Per quest’ultimo quesito sarebbe forse opportuno interrogare un sociologo o uno psicologo, ho delle teorie, ma non sono supportate da esperienze professionali, né documentabili. Per quanto riguarda l’aumento di “reazione avverse” al cibo, chiamiamole così in assenza di una diagnosi precisa, i soliti catastrofisti affermano, che l’inquinamento, i cibi industriali, la scarsa reperibilità di prodotti genuini, (e forse gli OGM) ne siano responsabili.
Ma vediamo se è vero. Innanzitutto dobbiamo fare chiarezza sui termini, chiameremo genericamente “reazione avversa al cibo” ogni forma di disturbo riferito all’ingestione di un determinato cibo. In questo ambito si distinguono le vere e proprie allergie agli alimenti, che sono reazioni immunologiche ad alcuni componenti alimentari (proteine), che scatenano una produzione di anticorpi da parte dell’organismo. Gli anticorpi prodotti sono di due tipi: quelli chiamati IgE quando la reazione avviene entro pochissimo tempo dall’ingestione del cibo incriminato, e i sintomi sono solitamente vomito, orticaria, prurito, asma e difficoltà respiratorie, fino al grave shock anafilattico. Oppure quelli detti IgG (reazione di tipo ritardato) quando i sintomi appaiono dopo diverso tempo, anche giorni dall’ingestione dell’alimento e sono di carattere variabile, dalla diarrea ad altre manifestazioni anche non correlate al tubo digerente. Poi esiste la “intolleranza alimentare” termine spesso confuso con l’allergia, che invece è un disturbo che non coinvolge il sistema immunitario, ma è dovuto o a carenze di enzimi specifici che servono a “digerire” l’alimento (come ad esempio l’enzima lattasi per l’intolleranza al lattosio), o ad un effetto tossico-farmacologico di qualche sostanza contenuta nell’alimento stesso (ad esempio i solfiti, i coloranti o additivi chimici).
Le recenti indagini epidemiologiche accreditate scientificamente riportano che le vere allergie (mediate da anticorpi) sono attorno all’ 1-4% degli adulti, mentre le intolleranze alimentari sono il 10% circa. (1,2)
Negli ultimi 20 anni però la loro incidenza sembra essere raddoppiata (3).
Secondo uno studio fatto in Germania nel 2000 (4) la prevalenza di ogni tipo di reazione avversa al cibo, riferita al campione di popolazione adulta studiata era del 34,9%, sulla base dei sintomi riferiti, ma questa percentuale calava al 3,7% quando veniva posta una diagnosi corretta. In base ad una statistica comparativa effettuata sempre in Germania nel 1998 l’incidenza di reazioni avverse al cibo era del 2,6%.
Questi dati sembrano confermare due cose: accanto ad un effettivo aumento delle reazioni avverse agli alimenti in generale, sembra esserci da un lato una sovrastima soggettiva da parte dei pazienti, da un altro lato probabilmente una sottostima oggettivamente diagnosticata. Negli ultimi anni è addirittura raddoppiato il numero delle diagnosi di celiachia ed è spuntata una nuova sindrome chiamata “Sensibilità al Glutine non Celiaca” (SCNG) che la comunità scientifica sta considerando come vera affezione patologica e non solo una moda dietetica senza glutine. Secondo quanto letto su alcune riviste femminili o su siti web divulgativi le “allergie” al cibo, non meglio specificate, sono largamente diffuse e causano numerosi problemi, dall’emicrania, all’artrite e reumatismi, dall’obesità all’eccessiva magrezza, inappetenza e scarsa concentrazione, nonché una serie di piccoli disturbi da cui chiunque, prima o poi, può essere colpito. Ovviamente i sintomi a volte così incerti o lievi non possono avere nessun significato diagnostico. Per essere davvero sicuri che un certo cibo faccia male occorre sottoporsi ad un qualche test.
Diciamo subito che i test per la diagnosi di reazione avversa agli alimenti, nonostante anni di ricerche in questo campo, presentano dei problemi. Non esiste un “marker” unico, dosando il quale si ha la certezza di avere una risposta positiva o negativa. I più semplici da eseguire e i più sicuri si basano sul dosaggio degli anticorpi prodotti in risposta all’alimento avverso. Sono dosabili le IgE totali, e le IgE specifiche (RAST) verso una determinata componente alimentare (allergene), ad esempio latto-proteine per allergie al latte, ovoalbumina per allergia all’uovo, e così via.
Stessa cosa per gli anticorpi IgG, in questo caso però la risposta è meno “specifica”, perché vi sono molti falsi positivi che sono il grosso problema di questo tipo di dosaggio. Esiste poi il Prick test indicato soprattutto per le vere e proprie allergie, ma meno per le intolleranze. Il test consiste nell’applicare una piccola quantità di allergene su una porzione di pelle del paziente (di solito sulla parte interna dell’avambraccio), la zona viene poi punta con un pennino sterile e si attendono alcune ore per verificare la risposta, che consiste nella formazione di un pomfo più o meno grande e arrossato. Questi test uniti alla anamnesi del paziente e ai cosiddetti test di eliminazione e reintroduzione dell’alimento sospetto, portano di solito ad una diagnosi corretta di allergia.
Nel caso di sospetto di intolleranza la diagnosi è più difficile. I dosaggi di anticorpi specifici in questo caso non sono utili, ed altri esami come il test di citotossicità o ALCAT (Antigen Leukocyte Cellular Antibody Test) avevano fornito qualche speranza, ma sono poi stati abbandonati nella pratica laboratoristica perché non riproducibili e dai risultati deludenti. Esistono alcuni esami più invasivi come il test sull’assorbimento di alcuni zuccheri, come il mannitolo o lo xilosio, zuccheri che in condizioni di normalità non vengono assorbiti dall’intestino, ma passano se l’intestino è danneggiato, e sono misurabili nelle urine. Oppure il Breath test all’idrogeno un metodo basato sul principio che alcuni zuccheri introdotti con la dieta vengono fermentati dalla flora batterica intestinale, con conseguente produzione di idrogeno e metano, tali gas vengono assorbiti a livello intestinale ed eliminati dai polmoni con l’aria espirata e possono venir dosati con strumenti appropriati. Questi test ed altri dosaggi ematici o sulle feci o le urine forniscono importanti indicazioni sullo stato di salute dell’intestino, ma ovviamente non sono direttamente correlati con il potenziale dannoso di un dato alimento. Insomma l’iter diagnostico a cui una persona deve sottoporsi se dopo avere mangiato patatine o prugne si sente depresso, abulico o con l’emicrania, non è né rapido, né foriero di un risultato certissimo. E chi soffre di qualche disturbo vuole invece risposte certe.
Questi dati sembrano confermare due cose: accanto ad un effettivo aumento delle reazioni avverse agli alimenti in generale, sembra esserci da un lato una sovrastima soggettiva da parte dei pazienti, da un altro lato probabilmente una sottostima oggettivamente diagnosticata. Negli ultimi anni è addirittura raddoppiato il numero delle diagnosi di celiachia ed è spuntata una nuova sindrome chiamata “Sensibilità al Glutine non Celiaca” (SCNG) che la comunità scientifica sta considerando come vera affezione patologica e non solo una moda dietetica senza glutine. Secondo quanto letto su alcune riviste femminili o su siti web divulgativi le “allergie” al cibo, non meglio specificate, sono largamente diffuse e causano numerosi problemi, dall’emicrania, all’artrite e reumatismi, dall’obesità all’eccessiva magrezza, inappetenza e scarsa concentrazione, nonché una serie di piccoli disturbi da cui chiunque, prima o poi, può essere colpito. Ovviamente i sintomi a volte così incerti o lievi non possono avere nessun significato diagnostico. Per essere davvero sicuri che un certo cibo faccia male occorre sottoporsi ad un qualche test.
Diciamo subito che i test per la diagnosi di reazione avversa agli alimenti, nonostante anni di ricerche in questo campo, presentano dei problemi. Non esiste un “marker” unico, dosando il quale si ha la certezza di avere una risposta positiva o negativa. I più semplici da eseguire e i più sicuri si basano sul dosaggio degli anticorpi prodotti in risposta all’alimento avverso. Sono dosabili le IgE totali, e le IgE specifiche (RAST) verso una determinata componente alimentare (allergene), ad esempio latto-proteine per allergie al latte, ovoalbumina per allergia all’uovo, e così via.
Stessa cosa per gli anticorpi IgG, in questo caso però la risposta è meno “specifica”, perché vi sono molti falsi positivi che sono il grosso problema di questo tipo di dosaggio. Esiste poi il Prick test indicato soprattutto per le vere e proprie allergie, ma meno per le intolleranze. Il test consiste nell’applicare una piccola quantità di allergene su una porzione di pelle del paziente (di solito sulla parte interna dell’avambraccio), la zona viene poi punta con un pennino sterile e si attendono alcune ore per verificare la risposta, che consiste nella formazione di un pomfo più o meno grande e arrossato. Questi test uniti alla anamnesi del paziente e ai cosiddetti test di eliminazione e reintroduzione dell’alimento sospetto, portano di solito ad una diagnosi corretta di allergia.
Nel caso di sospetto di intolleranza la diagnosi è più difficile. I dosaggi di anticorpi specifici in questo caso non sono utili, ed altri esami come il test di citotossicità o ALCAT (Antigen Leukocyte Cellular Antibody Test) avevano fornito qualche speranza, ma sono poi stati abbandonati nella pratica laboratoristica perché non riproducibili e dai risultati deludenti. Esistono alcuni esami più invasivi come il test sull’assorbimento di alcuni zuccheri, come il mannitolo o lo xilosio, zuccheri che in condizioni di normalità non vengono assorbiti dall’intestino, ma passano se l’intestino è danneggiato, e sono misurabili nelle urine. Oppure il Breath test all’idrogeno un metodo basato sul principio che alcuni zuccheri introdotti con la dieta vengono fermentati dalla flora batterica intestinale, con conseguente produzione di idrogeno e metano, tali gas vengono assorbiti a livello intestinale ed eliminati dai polmoni con l’aria espirata e possono venir dosati con strumenti appropriati. Questi test ed altri dosaggi ematici o sulle feci o le urine forniscono importanti indicazioni sullo stato di salute dell’intestino, ma ovviamente non sono direttamente correlati con il potenziale dannoso di un dato alimento. Insomma l’iter diagnostico a cui una persona deve sottoporsi se dopo avere mangiato patatine o prugne si sente depresso, abulico o con l’emicrania, non è né rapido, né foriero di un risultato certissimo. E chi soffre di qualche disturbo vuole invece risposte certe.
Ecco perché sono spuntati tanti test “non convenzionali” ovvero “alternativi” in grado di dare risposte “sicure” in tempi brevi, come il test EAV (elettroagopuntura secondo Voll, Vega test, Sarm test, Biostrength test e loro varianti), Test di provocazione/neutralizzazione, Biorisonanza, Analisi del capello, Pulse test, Test del riflesso cardiaco-auricolare, Test Melisa, Mineralogramma, Iridologia, Kinesiologia applicata (DRIA test e simili), Test Bioenergetico dei Virus e Batteri, tutti questi e altri simili non sono da considerare attendibili, in quanto non sono in grado di individuare agenti causali di presunte "intolleranze alimentari", sono privi di validazione scientifica e non sono riproducibili.
La celiachia
Un discorso a parte merita la celiachia.
Malattia che un tempo veniva chiamata “sprue” o malassorbimento, prevalente solo nella prima infanzia e molto grave. I bambini che ne erano affetti, soffrivano di diarrea persistente e malassorbimento severo, e se non curata poteva avere esito fatale. (5) La celiachia è stata considerata una malattia rara fino agli anni ’80, con una prevalenza di 1 caso ogni 2000-3000 ed esordio quasi esclusivamente pediatrico. Inoltre, la biopsia intestinale ha costituito fino a quel periodo l’unico metodo diagnostico per individuare la tipica lesione intestinale (appiattimento dei villi intestinali), un metodo invasivo a cui si sottoponevano solo i soggetti con sintomi evidenti o gravi. L’epidemiologia della celiachia è cambiata radicalmente a partire dagli anni ’90 quando, a fronte della significatività di studi clinici multicentrici, sia la diagnostica sierologica (di crescente sensibilità e specificità) sia i test genetici sono stati sviluppati e gradualmente introdotti nella pratica clinica. I principali risultati del progresso scientifico sono il drammatico aggiornamento dell’incidenza della celiachia in Italia (si stima 1 soggetto ogni 100 persone) e l’aumento degli individui diagnosticati (attualmente 20.000 nuove diagnosi all’anno, con un incremento annuo di circa il 20%) (6) La celiachia è un’intolleranza permanente su base genetica al glutine, una sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, grano khorasan (kamut), orzo, segale, spelta e triticale. Le manifestazioni cliniche della celiachia sono estremamente variabili.
È possibile distinguere diverse forme cliniche di malattia celiaca, a seconda delle modalità di presentazione clinica (manifestazioni intestinali ed extra-intestinali, età del paziente, concomitanza di una o più patologie associate), delle alterazioni istologiche della mucosa intestinale (biopsia) e dei valori sierologici (anticorpi): la forma tipica ha come sintomatologia diarrea e arresto di crescita (dopo lo svezzamento), quella atipica si presenta tardivamente con sintomi prevalentemente extraintestinali (ad esempio anemia), quella silente ha come peculiarità l’assenza di sintomi eclatanti e quella potenziale (o latente) si evidenzia con esami sierologici positivi ma con biopsia intestinale normale. Queste due ultime forme cliniche in assenza di sintomi specifici sono diagnosticabili solo nell’ambito di “popolazione” a rischio (persone con una predisposizione genetica o con malattie autoimmuni) sottoposta a test di screening. (7,8) Per curare la celiachia, attualmente, occorre escludere dal proprio regime alimentare alcuni degli alimenti più comuni, quali pane, pasta, biscotti e pizza, ma anche eliminare le più piccole tracce di glutine dal piatto. Questo implica un forte impegno di educazione alimentare. Infatti l’assunzione di glutine, anche in piccole quantità, può provocare diverse conseguenze più o meno gravi.
Questo aspetto ha indotto l’industria alimentare allo sviluppo e alla commercializzazione di alimenti senza glutine, anni fa reperibili solo in farmacia ed ora invece presenti in molti negozi e nella grande distribuzione. Spesso nelle famiglie in cui è presente un soggetto celiaco si tende ad eliminare tutti gli alimenti contenenti glutine e anche i soggetti non celiaci si abituano a consumare prevalentemente quelli certificati privi di glutine anche se più costosi. L’offerta commerciale degli alimenti gluten-free è spesso pubblicizzata come più sana e più dietetica, con forme più o meno subdole, al punto da indurre anche soggetti sani a scegliere questi prodotti.
La stessa cosa avviene con la proposta commerciale di latte privo di lattosio, definito “più leggero” o con quella di latticini addizionati con omega-3, indicati per “prevenire” malattie cardiache. Si sfrutta la scarsa conoscenza scientifica (come è ovvio) del consumatore, per indurre la necessità di scegliere certi prodotti più costosi. Inoltre la scarsa conoscenza approfondita di un problema (come l’allergia appunto) va di pari passo con una eccesso di informazioni medico-sanitarie da cui siamo bombardati quotidianamente. L’attenzione viene focalizzata su alcuni alimenti dannosi e su patologie apparentemente molto diffuse, non molto gravi, curabili con il fai-da-te (basta eliminare il cibo incriminato) come appunto le intolleranze e le allergie, oltretutto spesso confuse e ritenute sinonimi. Questo mix produce in molti casi anche l’autodiagnosi di reazione avversa al cibo.
Ne ho sentite di tutti i colori: c’è chi sostiene di essere dimagrito togliendo dalla dieta solo il latte o il frumento, chi accusa la vitamina C (ebbene si!) di provocargli giramenti di testa e altri sintomi, chi ritiene di essere intollerante all’acido acetil salicilico, ma prende aspirine per il mal di testa, fino a chi soffre di intolleranze intermittenti, perché magari a colazione si nutre solo di alimenti dietetici per celiaci o intolleranti al lattosio, ma di sera si abbuffa (senza conseguenze) di pizza farcita con mozzarella e bufala. “Bufale” appunto (non le cito casualmente) sono le molte diagnosi di allergie immaginarie. Intendiamoci le allergie e le intolleranze sono patologie reali, esistono e sono diagnosticabili dal medico e dai test veri e accreditati. Ma se avete qualche sintomo persistente fastidioso o peggio, non vi fidate dell’amica, del giornale, dell’omeopata o del medicastro olistico, ricorrete alla medicina vera (e unica), e nel frattempo non buttate via denaro negli alimenti privi di qualcosa.
La celiachia
Un discorso a parte merita la celiachia.
Malattia che un tempo veniva chiamata “sprue” o malassorbimento, prevalente solo nella prima infanzia e molto grave. I bambini che ne erano affetti, soffrivano di diarrea persistente e malassorbimento severo, e se non curata poteva avere esito fatale. (5) La celiachia è stata considerata una malattia rara fino agli anni ’80, con una prevalenza di 1 caso ogni 2000-3000 ed esordio quasi esclusivamente pediatrico. Inoltre, la biopsia intestinale ha costituito fino a quel periodo l’unico metodo diagnostico per individuare la tipica lesione intestinale (appiattimento dei villi intestinali), un metodo invasivo a cui si sottoponevano solo i soggetti con sintomi evidenti o gravi. L’epidemiologia della celiachia è cambiata radicalmente a partire dagli anni ’90 quando, a fronte della significatività di studi clinici multicentrici, sia la diagnostica sierologica (di crescente sensibilità e specificità) sia i test genetici sono stati sviluppati e gradualmente introdotti nella pratica clinica. I principali risultati del progresso scientifico sono il drammatico aggiornamento dell’incidenza della celiachia in Italia (si stima 1 soggetto ogni 100 persone) e l’aumento degli individui diagnosticati (attualmente 20.000 nuove diagnosi all’anno, con un incremento annuo di circa il 20%) (6) La celiachia è un’intolleranza permanente su base genetica al glutine, una sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, grano khorasan (kamut), orzo, segale, spelta e triticale. Le manifestazioni cliniche della celiachia sono estremamente variabili.
È possibile distinguere diverse forme cliniche di malattia celiaca, a seconda delle modalità di presentazione clinica (manifestazioni intestinali ed extra-intestinali, età del paziente, concomitanza di una o più patologie associate), delle alterazioni istologiche della mucosa intestinale (biopsia) e dei valori sierologici (anticorpi): la forma tipica ha come sintomatologia diarrea e arresto di crescita (dopo lo svezzamento), quella atipica si presenta tardivamente con sintomi prevalentemente extraintestinali (ad esempio anemia), quella silente ha come peculiarità l’assenza di sintomi eclatanti e quella potenziale (o latente) si evidenzia con esami sierologici positivi ma con biopsia intestinale normale. Queste due ultime forme cliniche in assenza di sintomi specifici sono diagnosticabili solo nell’ambito di “popolazione” a rischio (persone con una predisposizione genetica o con malattie autoimmuni) sottoposta a test di screening. (7,8) Per curare la celiachia, attualmente, occorre escludere dal proprio regime alimentare alcuni degli alimenti più comuni, quali pane, pasta, biscotti e pizza, ma anche eliminare le più piccole tracce di glutine dal piatto. Questo implica un forte impegno di educazione alimentare. Infatti l’assunzione di glutine, anche in piccole quantità, può provocare diverse conseguenze più o meno gravi.
Questo aspetto ha indotto l’industria alimentare allo sviluppo e alla commercializzazione di alimenti senza glutine, anni fa reperibili solo in farmacia ed ora invece presenti in molti negozi e nella grande distribuzione. Spesso nelle famiglie in cui è presente un soggetto celiaco si tende ad eliminare tutti gli alimenti contenenti glutine e anche i soggetti non celiaci si abituano a consumare prevalentemente quelli certificati privi di glutine anche se più costosi. L’offerta commerciale degli alimenti gluten-free è spesso pubblicizzata come più sana e più dietetica, con forme più o meno subdole, al punto da indurre anche soggetti sani a scegliere questi prodotti.
La stessa cosa avviene con la proposta commerciale di latte privo di lattosio, definito “più leggero” o con quella di latticini addizionati con omega-3, indicati per “prevenire” malattie cardiache. Si sfrutta la scarsa conoscenza scientifica (come è ovvio) del consumatore, per indurre la necessità di scegliere certi prodotti più costosi. Inoltre la scarsa conoscenza approfondita di un problema (come l’allergia appunto) va di pari passo con una eccesso di informazioni medico-sanitarie da cui siamo bombardati quotidianamente. L’attenzione viene focalizzata su alcuni alimenti dannosi e su patologie apparentemente molto diffuse, non molto gravi, curabili con il fai-da-te (basta eliminare il cibo incriminato) come appunto le intolleranze e le allergie, oltretutto spesso confuse e ritenute sinonimi. Questo mix produce in molti casi anche l’autodiagnosi di reazione avversa al cibo.
Ne ho sentite di tutti i colori: c’è chi sostiene di essere dimagrito togliendo dalla dieta solo il latte o il frumento, chi accusa la vitamina C (ebbene si!) di provocargli giramenti di testa e altri sintomi, chi ritiene di essere intollerante all’acido acetil salicilico, ma prende aspirine per il mal di testa, fino a chi soffre di intolleranze intermittenti, perché magari a colazione si nutre solo di alimenti dietetici per celiaci o intolleranti al lattosio, ma di sera si abbuffa (senza conseguenze) di pizza farcita con mozzarella e bufala. “Bufale” appunto (non le cito casualmente) sono le molte diagnosi di allergie immaginarie. Intendiamoci le allergie e le intolleranze sono patologie reali, esistono e sono diagnosticabili dal medico e dai test veri e accreditati. Ma se avete qualche sintomo persistente fastidioso o peggio, non vi fidate dell’amica, del giornale, dell’omeopata o del medicastro olistico, ricorrete alla medicina vera (e unica), e nel frattempo non buttate via denaro negli alimenti privi di qualcosa.
Bibliografia
1) Bengtsen U N-BU, Hanson LA, Ahlstedt S: Double blind, placebo controlled food reactions do not correlate to IgE allergy in the diagnosis of staple food related gastrointestinal symptoms.Gut 1996; 39: 130–5;
2) Lack G: Clinical practice. Food allergy. N Engl J Med 2008; 359(12)1252–60.
3) Skipala I. Adverse Food Reactions—An Emerging Issue for Adults Journal of the American Dietetic Association Volume 111, Issue 12 , Pages 1877-1891, December 2011
4) Zuberbier T, Edenharter G, Worm M, Ehlers I, Reimann S, Hantke T, Roehr CC, Bergmann KE, Niggemann Prevalence of adverse reactions to food in Germany - a population study. B. Allergy. 2004 Mar;59(3):338-45)
5) Perticarari S, Presani G, Trevisan M, Savoini A, Cauci S. Serum IgA and IgG antibodies to α-gliadin: Comparison between two ELISA methods. Ricerca in clinica e in laboratorio October–December 1987, Volume 17, Issue 4, pp 323-329
6) Mustalahti K, Catassi C, Reunanen A, Fabiani E, Heier M, McMillan S, Murray L, Metzger MH, Gasparin M, Bravi E, Mäki M; Coeliac EU Cluster, The prevalence of celiac disease in Europe: results of a centralized, international mass screening project. Project Epidemiology Ann Med. 2010 Dec;42(8):587-95. doi: 10.3109/07853890.2010.505931.
7) Lepore L, Martelossi S, Pennesi M, Falcini F, Ermini ML, Ferrari R, Perticarari S, Presani G, Lucchesi A, Lapini M, Ventura A. Prevalence of celiac disease in patients with juvenile chronic arthritis. J Pediatr. 1996 Aug;129(2):311-3.
8) Pietzak M . Celiac disease, wheat allergy, and gluten sensitivity: when gluten free is not a fad. JPEN J Parenter Enteral Nutr. 2012 Jan;36(1 Suppl):68S-75S. doi: 10.1177/0148607111426276.
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Alla prossima.
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Alla prossima.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaDa vero allergico alle graminacee faccio un plauso a questo articolo !
RispondiEliminada soggetto atopico che le tappe della marcia se l'è fatte tutte (eczema? check! asma? check! rinocongiuntiviti? check! orticaria? pure! )... mi domando e dico: che cosa di bello ci sarebbe nell'autodiagnosticarsi un'allergia? le allergie sono malattie a voler dire poco scoccianti (vorrei vedere quanto resisterebbe questa gente a NON RESPIRARE MAI BENE nemmeno un singolo giorno della loro vita), quando non mettono direttamente a rischio la tua vita. NON E' UNA COSA BELLA .-.
RispondiEliminavorrei in ultimo aggiungere...che è vero che la diagnosi delle allergie è una diagnosi difficile, specie per quanto riguarda l'individuazione dell'allergene incriminato. C'è una buona percentuale di allergici sine causa, perchè l'allergene non si trova di nessun modo, così come ci sono anche casistiche di pazienti con sintomatologia allergica...idiopatica. Magari anche con un livello di IgE perfettamente normale (probabilmente a quel punto c'è una disregolazione mastocitaria...non saprei)... si veda la sottoscritta xD
Grazie per questo interessante ed esaustivo articolo!! Se posso vorrei rivolgere una domanda su un caso personale: mio marito da piccolo (aveva circa 3 anni, ora ne ha 36) è stato ricoverato con una strana eruzione cutanea che non corrispondeva a nessuna malattia esantematica... dopo la biopsia della lesione gli è stato diagnosticato il morbo di During ed è stato curato. Incuriosita da questa strana malattia sono andata a fare ricerche (su internet eh, quindi con le ovvie limitazioni) e ho trovato che questa manifestazione cutanea è strettamente legata alla celiachia (cioè è celiachia stessa, sotto un'altra "forma", scusate le espressioni non corrette..)... lui ha quindi fatto i classici dosaggi degli anticorpi (anti - gliadina, anti transglutaminasi..) ed è risultato che aveva le transglutaminasi alte... il medico (di base) ha coonsigliato di ripetere l'esame ed è risultato negativo, quindi ha (il medico) escluso che potesse essere un soggetto celiaco e ha detto che non era necessario alcun ulteriore approfondimento.
RispondiEliminaMio marito non ha sintomi che facciano pensare alla celiachia, a parte il fatto che soffre spesso di afte in bocca.. ma io sono comunque rimasta dubbiosa e scettica... anche perché ora che abbiamo due bambini credo sia giusto sapere se in famiglia c'è una persona celiaca... per prendere le dovute precauzioni ed eventualmente tenere sotto controllo anche loro!
Grazie per l'attenzione!
Se posso vorrei rivolgere una domanda su un caso personale
RispondiEliminaOk (eccezione alla regola perché un caso interessante).
In realtà il morbo di Duhring è associato alla celiachia molto spesso, ma non sempre. Sembra ormai accertato trattarsi di malattia autoimmune ma l'associazione con la celiachia non è detto sia "obbligatoria" per cui tuo marito potrebbe aver avuto una semplice (e "normale") reazione allergica (al glutine? Non è detto!), oppure ha un "mosaicismo" molto lieve (in pratica ha una celiachia non spiccata e che non si esprime completamente, ma a me sembra improbabile, lo dico perché c'è questa forte associazione), questo perché se fosse stata celiachia si sarebbe mantenuta fino all'età adulta, oltretutto la malattia, già rara, è ancora più rara nei bambini, quindi potrebbe benissimo essere stata una forma "slegata" da quelle osservate in caso di celiachia, in ogni caso se ora tutti gli esami sono negativi io direi di stare tranquilla. Per quanto riguarda i figli, come sai, esistono esami anche non invasivi che possono fare un primo screening ed il pediatra saprà consigliarti, puoi farli solo per completa sicurezza.
Saluti.
Beh però con le afte... Io rivedrei un gastroenterologo. Potrebbe essere una celiachia in forma "non tipica".
EliminaInfatti le afte sono la cosa che mi ha spinto a fargli fare le analisi ed è per questo che sono rimasta comunque dubbiosa dopo il risultato...
EliminaRicordo (visto che è il mio lavoro), che i claims salutistici sugli alimenti sono severamente regolamentati in ambito comunitario (reg CE 1924/2006), e sono codificati (quindi è consentito scrivere ad esempio, "SENZA GRASSI", ma la norma determina anche quali valori deve avere l'alimento per poter portare tale dicitura).
RispondiEliminaInoltre, sono sottoposti a tale regolamentazione anche tutte le indicazioni relative a, cito:
"«indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia»: qualunque indicazione sulla salute che affermi, suggerisca o sottintenda che il consumo di una categoria di alimenti, di un alimento o di uno dei suoi componenti riduce significativamente un fattore di rischio di sviluppo di una malattia umana".
non solo in etichetta, ma anche nella pubblicità!
e' stata recentemente sanzionata una famosa azienda di yogurt che faceva fare su e giù dalle scale ad una famosa attrice, non più giovanissima (credo abbiate capito)...
Grazie Med, per l'eccezione e per i consigli!
RispondiEliminaIo ho parecchi allergici (prick test) in famiglia... marito, un figlio, genero e nipotine. Mio marito e' allergico alle graminacee, alle composite, ad alimenti come i legumi, i piselli in primis, i ceci, le fave, la soia. Ma i fagioli li mangia impunemente, come mai?
RispondiEliminaPasqua
Bell'articolo collega :-)
RispondiEliminaOttimo articolo.
RispondiEliminaDa distribuire davanti alle farmacie... ;-)
Piccola precisazione sui Prick test: la lettura della reazione viene effettuata a circa 10-15 minuti dalla "punturina" con la lancetta. E' una reazione immediata.
RispondiEliminaLa reagione a distanza di ore (generalmente 48h) viene letta per alcuni allergeni implicati anche nelle reazioni ritardate di quarto tipo (esempio Aspergillo...una cosa simile alla reazione al test alla tubercolina). I prick test sono generalmente svolti per gli aereoallergeni (chi soffre di rinite o attacchi asmatici). Per reazioni ritardate ad altri allergeni esiste il Patch test.
I veri allergici sono davvero molto pochi. Inoltre una positività al test non significa che ci sia anche un corrispettivo sintomatologico (da controllare possibile presenza di dermatografismo o meno).
I veri allergici sono davvero molto pochi.
RispondiEliminaVero, come i "veri" allergici ai farmaci (che quasi sempre non sono allergici o lo sono ad eccipienti) che, a sentire le anamnesi, sembrerebbero moltissimi...
Grazie della precisazione.
Premesso che non ho esperienza direttq on merito, conosco diverse famiglie con uno o più celiaci. Spesso, mi dicono, il preparare cibi privi di glutine per tutti è dettato dalla comodità del cucinare un piatto unico. Mi domando se in un soggetto sano la privazione del glutine abbia qualche effetto sulla salute o sia semplicemente un regime alimentare.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina@Marianna
RispondiEliminaA me, come a tuo marito, è stato diagnosticato il morbo di During (o dermatite erpetiforme) e me la tiro dietro pure ora.
Secondo me ai tempi (ho 35 anni) avevano la diagnosi facile ;)
Anche perché ho scoperto poi richiedendo la cartella clinica che la biopsia fatta sulla pelle era negativa o.O
se in un soggetto sano la privazione del glutine abbia qualche effetto sulla salute
RispondiEliminaNessuno per un consumo saltuario (c'è chi ama il sapore degli alimenti "gluten free"), una dieta esclusivamente senza glutine sembra (è un sospetto) che possa avere conseguenze sul sistema immunitario in quanto condizionerebbe la flora batterica intestinale normale.
ho scoperto poi richiedendo la cartella clinica che la biopsia fatta sulla pelle era negativa
Se la biopsia è negativa non si tratta di m. di Duhring...
Grande articolo.
RispondiEliminaE, se posso sfruttare, come posso guarire dalla mia allergia al lavoro? :D
come posso guarire dalla mia allergia al lavoro?
RispondiEliminaSecondo i principi dell'omeopatia devi lavorare di più. Come sempre ti consiglio di evitare.
:P
Salvo appunto perché mi avevano messo a dieta senza glutine e con biopsia negativa dico che avevano la diagnosi facile.
RispondiEliminaIo che non era morbo di During l'ho scoperto richiedendo la cartella anni dopo :/
Ciao, una curiosita': io a suo tempo avevo fatto il prick test,quello con le goccioline sul braccio (asma allergica alle graminacee e un tot di altre cose).
RispondiEliminaTempo fa un collega mi racconto' di un test molto bislacco che avevano fatto fare a sua figlia e consisteva (come forse indichi tu all'inizio dell'articolo) nel tenere in una mano una fialetta contenente qualcosa e nel dover fare forza con l'altra mano, in pratica quando si era allergici al contenuto della fiala, se ricordo bene l'altra mano perdeva forza.
Chiedo scusa per i dettagli forse sbagliati, a me era sembrata una cosa molto strana, anche perche' hai voglia a essere mega allergico a qualcosa ma se tengo in mano una fialetta al cui interno c'e' qualcosa, come puo' il mio corpo accorgersene?
Ovviamente (e' un classico) il collega diceva che ci avevano azzeccato, non ricordo se avesse fatto anche test piu' normali o altro.
Quel test delle fialette come si chiama e... e' una bufala? :-)
Seconda domanda gia' che ci sono: e' vero che le allergie possono andare e venire nel corso degli anni? Io pensavo fossero un difetto genetico e quindi una volta che ti viene... non ti passa, a meno che non eviti di venire a contatto con gli elementi a cui sei allergico. O il contrario, se sei allergico a qualcosa lo scopri quando ne vieni a contatto... o no?
Ciao!
Roberto.
L'allergia è una cosa dinamica, può anche regredire ^^ capita ad esempio che i bambini asmatici a partire dall'adolescenza non abbiano + crisi d'Asma... Così come capita ad un adulto di sviluppare allergie mai avute prima. O ad un allergico di sviluppare una nuova forma di sintomatologia..
EliminaQuel test delle fialette come si chiama e... e' una bufala?
RispondiEliminaBufala assoluta, è una variante del Vega Test e lo trovi in molti negozi di erboristeria e cosmetica. Il nome può cambiare perché spesso le aziende che producono le macchinette infernali danno nomi di fantasia per renderli "esotici" ed attraenti.
il contrario, se sei allergico a qualcosa lo scopri quando ne vieni a contatto... o no?
Discorso complesso.
Non si è allergici a qualcosa con la quale non si è mai venuti a contatto (si può essere geneticamente intolleranti ad una molecola o sostanza, per esempio perché manca l'enzima che la metabolizza, ma in questo caso non si hanno "sintomi di allergia" ma altri segni, esattamente ciò che succede con la celiachia).
Se entri in contatto con una sostanza (ammettiamo un polline) il tuo corpo potrebbe "sensibilizzarsi", creare cioè una situazione per la quale le altre volte che entrerai in contatto con la stessa sostanza l'organismo reagisce in maniera "esagerata" (con vari gradi di "esagerazione", dallo starnuto allo shock anafilattico): è l'allergia.
Questo può durare pochi mesi, alcuni anni, per sempre. Può succedere che, se per qualche tempo non entri in contatto con quella sostanza, il tuo organismo si "desensibilizza" (cioè perde quella capacità di reagire esageratamente) e così l'allergia può scomparire. Non è un fenomeno costante e dipende da molti fattori.
Un esempio: io ero allergico (con sintomi visibili e molto fastidiosi) ai pollini di una pianta tipica di una zona dell'Italia, cambiando zona di residenza per anni, al mio ritorno nella regione precedente non ho più avuto alcun sintomo di allergia, neanche minimo.
Spero di essermi spiegato...
@Sara
RispondiEliminain effetti sarei proprio curiosa di vedere la cartella clinica o almeno il foglio di dimissioni (ma non sanno dove l'hanno messo O.o)... con le mie "ricerche" ho anche trovato che, di fatto, il morbo di Duhring non "passa" mai, cioè sono molto probabili nuove manifestazioni negli anni.... lui invece non ha più avuto niente... e, dai ricordi di mio suocero, è stato curato con una medicina (non so il nome) che veniva mi pare dalla Francia e che si trovava soltanto nella farmacia del Vaticano... insomma... roba d'altri tempi!!! E' tutto così strano!!!! Ahahah!!!
Il farmaco era forse Dapsone? A me han dato quello e non si trovava in farmacia.
RispondiEliminaRingrazio dei commenti, in ritardo, perchè solo oggi rientro in sede dopo un viaggio. Ringrazio tantissimo MedBunker per avermi ospitato e per le precise e tempestive risposte ai commenti.
RispondiEliminaHo tentato la strada della diagnosi dall'erborista, per pura curiosità. Qualcosa che mi da fastidio la anche azzeccato, eh, ma chiaramente non da nessun tipo di fiducia la pratica che ho subito.
RispondiEliminaComunque dopo un'attenta valutazione mi sono autodiagnosticata un'intolleranza ai latticini; stavo cercando di capire quanto sia assurdo il discorso di un'intolleranza altalenante, visto che mangiando gli alimenti incriminati in maniera molto controllata e parsimoniosa praticamente non ho effetti negativi, che compaiono solo ad un minimo di esagerazione.
Da quel che avevo capito le intolleranze sono tutte così, infatti la "cura" è quella di eliminare l'alimento e reintegrarlo dopo un po' di "pulizia" con calma.
Io sono golosa di latte e derivati, quindi spesso torno alle mie manifestazioni intestinali poco piacevoli, ma ormai sono anni che la situazione più o meno va avanti controllata.
Sono un ragazzo celiaco di 23 anni, diagnosticato a 3 insieme a mia madre (in condizioni critiche dopo il parto di mio fratello), uno dei primi ricordi che ho è proprio la biopsia intestinale che mi han fatto (carina come cosa no?)
RispondiEliminaRicordo come un tempo la celiachia fosse una rarità. la prima pizza che ho potuto mangiare fuori casa l'ho mangiata a Verona (sono di Brescia) e di "pizza" aveva solo il nome; ricordo ancora gli sguardi straniti degli altri clienti. Era il 1998? Non me lo ricordo.
Attualmente nel 2013 mi ritrovo ad avere celiaci, allergici al glutine, intolleranti al glutine, gente che non mangia il glutine perché "sta meglio ma non sono ne allergico ne niente" e gente che dichiara la celiachia&co. come una moda ("come è possibile essere allergici al frumento, un cereale che ha cambiato la vita dell'uomo" cit.)
Sono del parere che tanta gente in realtà sia sanissima ma, cercando un effetto placebo, si trova (o gli vengono trovate), allergie che non esistono.
Articolo veramente interessante. Come sempre.
Sono del parere che tanta gente in realtà sia sanissima ma, cercando un effetto placebo, si trova (o gli vengono trovate), allergie che non esistono.
RispondiEliminaSì, lo dice anche l'articolo. Ci sono anche persone che con diagnosi di "intolleranza" fasulla (ottenuta con i test elencati all'inizio del post) seguono uno stile di vita assolutamente scorretto ed un'alimentazione sbilanciata, in seguito a questo stanno male e la causa, per loro o per i loro "terapeuti" è la loro intolleranza. Un cane che si morde la coda...
Articolo molto interessante. Nel mio corso di studi (dietistica) mi sono resa conto di come, molto spesso, le false allergie e intolleranze vengano utilzzate, purtroppo a volte anche da parte di figure professionali specializzate, come metodo subdolo per ottenere nei pazienti il dimagrimento desiderato. Negli ultimi anni pare che tutte le donne, ma anche gli uomini, siano intolleranti al lievito e ad altri alimenti la cui eliminazione porta ad una dieta iperproteica, che produrrà un dimagrimento nel breve termine, ma della quale conosciamo bene limiti e i rischi.
RispondiEliminaSalve ..cerco testimonianze di chi ha avuto schoch anafilatico da punture d api .
RispondiEliminaSalve ..cerco testimonianze di chi ha avuto schoch anafilatico da punture d api .
RispondiEliminaComplimenti per il blog, che seguo ormai da mesi. Uno dei miei preferiti.
RispondiEliminaE soprattutto perché colpiscono prevalentemente donne?
A me la risposta a questa domanda interessa molto.
Ho diverse amiche e conoscenti di sesso femminile che seguono strane diete "prescritte" da fantomatici medici, biologi e addirittura fisici in strani ambulatori trovati via internet. Integrate con cure a base di integratori e/o omeopatia.
E sono persone con cui è praticamente impossibile discutere su come dovrebbe funzionare il METODO di ricerca sperimentale e scientifico (in cui sono dentro come ricercatore). E quando una ricerca con risultati è effettivamente una ricerca con risultati.
Sopra sono stati nominati "forum e siti al femminile", facendo dedurre che le probabili clienti sono soprattutto donne.
Perché questo target quasi completamente unisex? E' una questione di finalità estetiche, tipo veloci dimagrimenti in tempi brevi (a cui le donne tengono più degli uomini)? O convinzione che le medicine reali, quelle che spesso chiamano "medicine chimiche" possano fare chissà quale subdolo danno al proprio corpo e quindi si "stravede" per tutto quello che è "alternativo"?
Insomma, dov'è l'inghippo?
E come rapportarsi con queste persone, dato che personalmente mi sono rassegnato a considerare inutile qualsiasi tipo di dialogo su questi argomenti?
Perché questo target quasi completamente unisex?
RispondiEliminaNon lo so. Ci sono parecchie ipotesi, perché è vero che il target tipico delle varie "cure alternative" e "terapie olistiche" (termine abusato) è rappresentato da donne di buona cultura (così emerge dalle statistiche). Che ci siano delle differenze culturali che condizionano l'aderenza di "cure" alternative è indubbio, c'è per esempio una differenza anche geografica (al nord dell'Italia ci sono più amanti dell'olistico in medicina, al sud più aderenti al pensiero religioso), presumo che chi ha una buona cultura si senta in un certo senso "consapevole" e "indipendente" (chi ha poca cultura si affida completamente all'autorità, chi ne ha tanta pensa di poter "fare da solo"), le donne sono sicuramente più attente (e consapevoli) all'aspetto esteriore (un'interessante indagine notava come gli uomini si percepiscano più "in forma" fisica di quanto lo siano realmente mentre le donne sono al contrario più "pessimiste"), insomma, che ci sia un'impronta culturale e "biologica" anche in questi fenomeni è quasi certo.
come rapportarsi con queste persone
Ognuno scelga il metodo che reputa più adeguato, io credo sia l'informazione corretta ed onesta. Ricevo spesso messaggi di persone completamente assorbite dal pensiero "complottistico-alternativo", clienti fissi di omeopati, agopuntori, ayurvedici, che solo dopo un travaglio interiore apprendendo le evidenze scientifiche di quanto facevano, hanno ammesso (probabilmente prima a se stessi) di aver sbagliato completamente approccio.
In realtà (e questo succede a tutti, vedi il mio articolo sulle collanine d'ambra per i denti) ognuno di noi non ama sentirsi stupido e credere a certe discipline è, per forza di cose, da stupidi. Per questo, se smentiamo scientificamente certe pratiche (quindi non con opinioni ma con dati) chi le usa si sente toccato nel personale, lo percepisce come un'offesa, un attacco alla propria persona. È un approccio inutile, improduttivo. Per questo preferisco spiegare. Non convincere ma spiegare, poi ognuno scelga per la propria salute, anche perché nessuno di noi è in missione di salvezza dell'umanità, né per me né per te ci sarà un guadagno o una perdita se una persona usa una ciarlataneria al posto di una terapia provata.
Mi succede anche nelle conferenze, per esempio parlo dell'omeopatia e dal pubblico si alza un'amante della "cristalloterapia" (da me neanche nominata) arrabbiatissima perché avrei attaccato la sua disciplina preferita.
Grazie per la completa risposta.
RispondiEliminaNemmeno io sono in missione di salvezza dell'umanità. Non nel grande progetto che non sia la vita e il comportamento di tutti i giorni, almeno.
E sono completamente d'accordo sul fatto che ognuno debba ritenersi libero di adottare le cure in cui crede e che preferisce.
Ma che gente che reputo "intellettualmente disonesta" guadagni, e magari si arricchisca anche, giocando sull'ingenuità e sulla sofferenza delle persone (compresa la semplice sofferenza psicologica del non sentirsi adeguatamente in forma fisicamente), beh, a me mette rabbia.
Grazie comunque per il lavoro che fai con questo blog. :) Da semplice "blogger di campagna" so bene il tempo che richiede.
Anch'io ho notato che sono di gran lunga più le donne a credere alla medicina fuffologica. Ci sarà qualche ragione profonda, forse, ma per me è anche un caso di zompa u citrullo in culo all'ortolano... Cioè, le donne, quasi per obbligo culturale, sono, rispetto agli uomini, molto più attente alla "manutenzione" e alla salute in generale, non solo per sé ma per i figli, e, in grande prevalenza, per tutta la famiglia: sono IL bersaglio per chi vende prodotti e servizi legati a benessere e salute, ed è quindi anche fisiologico che finiscano in numero maggiore impigliate in qualche pseudomedicina. Come sono più le donne degli uomini a fare regolari visite mediche (quanti uomini vanno regolarmente dall'andrologo, dal proctologo ecc?), o a cercare di portare in tavola una dieta bilanciata e sana (quanti maschi fanno la spesa con in mente questa finalità?), o a occuparsi della salute dei figli (su la mano i papà che sono andati loro al consultorio a discutere dello schema di svezzamento dei pupi!), o a comprare una crema di protezione solare, è anche logico che in maggior numero caschino nel marketing magari fatto dal farmacista o dal pediatra delle medicine dolci senza effetti collaterali eccetera. Per esempio, da quante raccomandazioni, allarmisimi, informazioni, caveat e consigli su salute e puericultura è bombardata una donna solo nei primi anni di vita di suo figlio? Tra queste ci sono informazioni corrette ma anche ogni tipo di baggianate, collanine d'ambra omeopatia antivaccinismo. In particolare per restare in tema del post, l'alimentazione dei piccoli è un tipico focolaio di paranoia: sembra che dando o non dando un certo alimento tu possa provocare a tuo figlio danni ireversibili, allergie, carenze al sistema immunitario, asma, obesità... Insomma è un'occasione tipica nella vita di una donna dove è facile rimanere impigliate in certi tipi di disinformazione e pseudoscienze. Per contro, mi pare che il maschio subisca di più l'appeal del complotto tecnologico, politico, economico, tipo scie chimiche, cospirazioni su larga scala... che dite? Per me si ripropone insomma un po' la divisione tradizionale dei ruoli. (Francesca Violi)
RispondiEliminaSono donna e soffro di seri disturbi dal primo parto, intestinali, muscolari e respiratori.
RispondiEliminaDopo il secondo parto e allattamento, il mio medico si è finalmente deciso a prendere seriamente la mia rinite cronica (che mi accompagnava da 3 anni) e i dolori addominali (in seguito ad una caduta ho fatto una radiografia alla schiena, illeggibile a causa delle bolle di aria nello stomaco.. la tac ha rilevato una frattura alla vertebra L5: questo per far capire che forse non sono ipocondriaca come si pensa di molte persone).
Il breath test ha superconfermato l'intolleranza al lattosio, tuttavia alimenti che dovrebbero essere normalmente tollerati come yoghurt e formaggio stagionatissimo per me erano IL PEGGIO. Pastiglie di lattasi completamente inutili.
Eliminati completamente i latticini ho risolto il problema della rinite cronica (praticamente non mi ammalo più se non sgarro!!) tuttavia i problemi intestinali sono sempre presenti a meno che non mangio (cosa che vorrei evitare visto che mi piace mangiare).
Per non parlare che con un controllo per l'AVIS ho scoperto che ho delle altissime extrasistole sopraventricolari concentrate nel periodo digestivo..
Insomma si parla di cosa non bisogna fare per trovare il problema ma non di cosa fare quando c'è un'intolleranza e magari anche forte.
Datemi la lista degli esami medici, farò tutto fino ad arrivare alla soluzione perché così sto vivendo veramente male.
Se però non esiste un test che mi permetta, a me come ad altri, di risolvere il problema smettete di dire che il problema non esiste e che sono solo mode...
delle donne per giunta... che hanno un livello di sopportazione molto alto.
@salvodigrazia qual è "l'elemento" che scatena l'allergia al latte in alcune persone?
RispondiEliminaqual è "l'elemento" che scatena l'allergia al latte in alcune persone?
RispondiEliminaL'allergia è causata da una molecola (si chiama in questo caso "antigene") che è "super-attaccata" dal nostro sistema immunitario. Per essere allergico a qualcosa devi esserne venuto a contatto almeno una volta nella vita. Il latte non contiene "conservanti" o eccipienti, quindi quando succede si tratta di allergia ad una delle sue proteine.
Io vado su tutte le furie quando qualcuno mi dice: sono allergico a...e invece si è semplicemente autoimposto di non mangiare più il cibo X perché crede che, forse, gli fa male al pancino. Io sono allergica in fascia 3, giro con l'adrenalina nella borsa e ogni pasto fuori casa è un incubo. Se potessi tornare a 4 anni fa quando potevo mangiare tutto serenamente pagherei oro, altro che autoeliminarmi i cibi. :(
RispondiEliminaOttimo articolo, come sempre! Da medico immunoallergologo (e socio CICAP) devo fare però qualche precisazione. Le reazioni allergiche ritardate non coinvolgono la classe degli anticorpi chiamati IgG, ma le cellule (linfociti T e monoica/macrofagi). Il ruolo delle IgG nelle reazioni avverse agli alimenti è oggetto di dibattito scientifico perché non ancora ben dimostrato. Esiste il test delle IgG verso gli alimenti, ma a differenza di quello IgE non è ancora in grado di essere associato a specifiche patologie.
RispondiEliminaIl ruolo delle IgG nelle reazioni avverse agli alimenti è oggetto di dibattito scientifico perché non ancora ben dimostrato.
EliminaGrazie per l'appunto.
Io però sapevo che le IgG (oltre ovviamente a dimostrare l'esposizione all'alimento) rientrano nella categoria delle reazioni "non IgE dipendenti" (gruppo 3) con la formazione di immunocomplessi. Che il test non sia attendibile lo sapevo.
Saluti!
Non so se questo è il posto giusto per chiedere questa cosa ma ci provo. Recentemente dopo un forte episodio di orticaria il mio medico mi ha fatto fare una visita allergologica, io sono andata volentieri più che per l'orticaria perché spesso soffro di meteorismo con vari tipi di cibo. Ho fatto il prick test (negativo) e quello per le allergie da contatto, risultato positivo al nichel +++. Il medico mi ha detto di "stare attenta" a tutta una serie di cibi (cioccolata ma anche patate, cavoli, fagioli) e poi mi ha consigliato molto caldamente un test genetico (Dna-IstAll test di reportgenomics).
RispondiEliminaIo sono rimasta un po' perplessa, un po' perché "stare attenta" a certi cibi non capisco cosa voglia dire in concreto...certo..mangiarne poco, ma quanto poco? E serve? E un po' perché questo test mi sembra "strano". Lei cosa ne dice? E' una roba che ha un fondamento??
E' una roba che ha un fondamento?
EliminaHa fondamento nel senso che è un test che svela particolari anomalie genetiche ma non so se avrebbe senso nel suo caso, senza considerare i costi, elevatissimi. Si può però dire, in generale, che se una persona fosse allergica ad un alimento non potrebbe mangiarlo (pena la morte...). Al contrario alcune orticarie possono essere causate da alcuni alimenti che favoriscono il rilascio di sostanze che provocano proprio questo disturbo (per esempio cioccolato e frutta secca lo fanno).
Il test genetico e l'eliminazione di alimenti fondamentali io li consiglierei solo a chi avesse una qualità di vita pessima o avesse rischiato la vita in seguito ad un episodio allergico.
Quel test genetico non ha ancora dimostrato di avere validità clinica, mentre l'eliminazione dalla dieta di alcuni cibi sulla base dei suoi risultati probabilmente darà più effetti negativi che positivi.
RispondiEliminaNon è scientificamente dimostrato che il nichel c'entri qualcosa con l'orticaria o con il meteorismo.
Immuni da critiche non sono nemmeno la dieta povera di istamina o di alimenti-istamina-liberatori, perché scarseggiano le prove di una vera utilità. L'orticaria è non-allergica nel 95% dei casi.
L'eliminazione degli alimenti fondamentali è consigliata solo a chi ha documentata allergia o intolleranza a questi; i mezzi per documentarla ci sono e non sono (ancora) i test genetici.
Grazie per le risposte!!! Il tempo delle visite mediche specialistiche è sempre molto limitato e i dubbi e le domande vengono fuori dopo e non si sa con chi condividerli :-)
RispondiElimina