Un argomento che sicuramente attirerà la curiosità di molti di voi. Avete presente quando vi dicono "lei è intollerante ai farinacei" oppure "lei è allergico al latte", quanti di voi si sono prestati a "test" di intolleranza in certe farmacie o erboristerie? A quanti hanno fatto afferrare dei cilindretti di metallo? Ancora peggio, a quanti hanno messo una boccetta con una sostanza in una mano e nell'altra un'altra boccetta?
Insomma, quante bufale in questo campo?
Beh, per parlarne ho chiesto a chi di test ed allergie se ne intende, ci parlerà proprio di questo e sarà un viaggio molto interessante. Ringrazio quindi la dott.ssa Sandra Perticarari, biologa, che mi ha fatto il piacere di scrivere su un argomento così interessante e precisamente documentato (come si fa quando si parla di argomenti scientifici). Buona lettura!
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Allergie, intolleranze alimentari e...bufale.
Hanno nomi che sembrano acronimi di esperimenti spaziali: VEGA, ALCAT, EAV, SARM, DRIA, invece sono test cosiddetti alternativi per la diagnosi di allergie e intolleranze alimentari. Ogni volta che mi ritrovo a parlare con qualche amica, almeno il 50% ritiene di essere “allergica” a qualcosa, il 70% pensa di essere intollerante e il 40% ha eseguito test dai nomi assurdi, per confermare intolleranze a un numero esagerato di cibi.
Se sfoglio qualche rivista femminile mi trovo sommersa da consigli su alimenti da evitare. Latte e latticini, zucchero, farina di frumento, e ora anche farina di mais (transgenica!) sono demoni ammantati sotto appetibili spoglie, ma pronti a fare danni appena ingeriti.
Non parliamo poi di internet dove da un lato proliferano nei forum al femminile e nei social network allarmismi sui cibi quotidiani (pane e latte appunto), mentre da un altro abbondano consigli dietetici su integratori, sostanze naturali alternative, probiotici come lo yoghurt, che in questo caso perde la sua veste lattario-casearia e si trasforma in un quasi farmaco, panacea per ossa e intestino.
Perché un aumento così tangibile di patologie riferite agli alimenti? E soprattutto perché colpiscono prevalentemente donne? Per quest’ultimo quesito sarebbe forse opportuno interrogare un sociologo o uno psicologo, ho delle teorie, ma non sono supportate da esperienze professionali, né documentabili.
Per quanto riguarda l’aumento di “reazione avverse” al cibo, chiamiamole così in assenza di una diagnosi precisa, i soliti catastrofisti affermano, che l’inquinamento, i cibi industriali, la scarsa reperibilità di prodotti genuini, (e forse gli OGM) ne siano responsabili.
Ma vediamo se è vero.
Innanzitutto dobbiamo fare chiarezza sui termini, chiameremo genericamente “reazione avversa al cibo” ogni forma di disturbo riferito all’ingestione di un determinato cibo. In questo ambito si distinguono le vere e proprie allergie agli alimenti, che sono reazioni immunologiche ad alcuni componenti alimentari (proteine), che scatenano una produzione di anticorpi da parte dell’organismo. Gli anticorpi prodotti sono di due tipi: quelli chiamati IgE quando la reazione avviene entro pochissimo tempo dall’ingestione del cibo incriminato, e i sintomi sono solitamente vomito, orticaria, prurito, asma e difficoltà respiratorie, fino al grave shock anafilattico. Oppure quelli detti IgG (reazione di tipo ritardato) quando i sintomi appaiono dopo diverso tempo, anche giorni dall’ingestione dell’alimento e sono di carattere variabile, dalla diarrea ad altre manifestazioni anche non correlate al tubo digerente. Poi esiste la “intolleranza alimentare” termine spesso confuso con l’allergia, che invece è un disturbo che non coinvolge il sistema immunitario, ma è dovuto o a carenze di enzimi specifici che servono a “digerire” l’alimento (come ad esempio l’enzima lattasi per l’intolleranza al lattosio), o ad un effetto tossico-farmacologico di qualche sostanza contenuta nell’alimento stesso (ad esempio i solfiti, i coloranti o additivi chimici).
Le recenti indagini epidemiologiche accreditate scientificamente riportano che le vere allergie (mediate da anticorpi) sono attorno all’ 1-4% degli adulti, mentre le intolleranze alimentari sono il 10% circa. (1,2)
Negli ultimi 20 anni però la loro incidenza sembra essere raddoppiata (3).
Secondo uno studio fatto in Germania nel 2000 (4) la prevalenza di ogni tipo di reazione avversa al cibo, riferita al campione di popolazione adulta studiata era del 34,9%, sulla base dei sintomi riferiti, ma questa percentuale calava al 3,7% quando veniva posta una diagnosi corretta. In base ad una statistica comparativa effettuata sempre in Germania nel 1998 l’incidenza di reazioni avverse al cibo era del 2,6%.
Questi dati sembrano confermare due cose: accanto ad un effettivo aumento delle reazioni avverse agli alimenti in generale, sembra esserci da un lato una sovrastima soggettiva da parte dei pazienti, da un altro lato probabilmente una sottostima oggettivamente diagnosticata.
Negli ultimi anni è addirittura raddoppiato il numero delle diagnosi di celiachia ed è spuntata una nuova sindrome chiamata “Sensibilità al Glutine non Celiaca” (SCNG) che la comunità scientifica sta considerando come vera affezione patologica e non solo una moda dietetica senza glutine.
Secondo quanto letto su alcune riviste femminili o su siti web divulgativi le “allergie” al cibo, non meglio specificate, sono largamente diffuse e causano numerosi problemi, dall’emicrania, all’artrite e reumatismi, dall’obesità all’eccessiva magrezza, inappetenza e scarsa concentrazione, nonché una serie di piccoli disturbi da cui chiunque, prima o poi, può essere colpito. Ovviamente i sintomi a volte così incerti o lievi non possono avere nessun significato diagnostico. Per essere davvero sicuri che un certo cibo faccia male occorre sottoporsi ad un qualche test.
Diciamo subito che i test per la diagnosi di reazione avversa agli alimenti, nonostante anni di ricerche in questo campo, presentano dei problemi. Non esiste un “marker” unico, dosando il quale si ha la certezza di avere una risposta positiva o negativa. I più semplici da eseguire e i più sicuri si basano sul dosaggio degli anticorpi prodotti in risposta all’alimento avverso. Sono dosabili le IgE totali, e le IgE specifiche (RAST) verso una determinata componente alimentare (allergene), ad esempio latto-proteine per allergie al latte, ovoalbumina per allergia all’uovo, e così via.
Stessa cosa per gli anticorpi IgG, in questo caso però la risposta è meno “specifica”, perché vi sono molti falsi positivi che sono il grosso problema di questo tipo di dosaggio. Esiste poi il Prick test indicato soprattutto per le vere e proprie allergie, ma meno per le intolleranze. Il test consiste nell’applicare una piccola quantità di allergene su una porzione di pelle del paziente (di solito sulla parte interna dell’avambraccio), la zona viene poi punta con un pennino sterile e si attendono alcune ore per verificare la risposta, che consiste nella formazione di un pomfo più o meno grande e arrossato.
Questi test uniti alla anamnesi del paziente e ai cosiddetti test di eliminazione e reintroduzione dell’alimento sospetto, portano di solito ad una diagnosi corretta di allergia.
Nel caso di sospetto di intolleranza la diagnosi è più difficile. I dosaggi di anticorpi specifici in questo caso non sono utili, ed altri esami come il test di citotossicità o ALCAT (Antigen Leukocyte Cellular Antibody Test) avevano fornito qualche speranza, ma sono poi stati abbandonati nella pratica laboratoristica perché non riproducibili e dai risultati deludenti.
Esistono alcuni esami più invasivi come il test sull’assorbimento di alcuni zuccheri, come il mannitolo o lo xilosio, zuccheri che in condizioni di normalità non vengono assorbiti dall’intestino, ma passano se l’intestino è danneggiato, e sono misurabili nelle urine. Oppure il Breath test all’idrogeno un metodo basato sul principio che alcuni zuccheri introdotti con la dieta vengono fermentati dalla flora batterica intestinale, con conseguente produzione di idrogeno e metano, tali gas vengono assorbiti a livello intestinale ed eliminati dai polmoni con l’aria espirata e possono venir dosati con strumenti appropriati.
Questi test ed altri dosaggi ematici o sulle feci o le urine forniscono importanti indicazioni sullo stato di salute dell’intestino, ma ovviamente non sono direttamente correlati con il potenziale dannoso di un dato alimento.
Insomma l’iter diagnostico a cui una persona deve sottoporsi se dopo avere mangiato patatine o prugne si sente depresso, abulico o con l’emicrania, non è né rapido, né foriero di un risultato certissimo. E chi soffre di qualche disturbo vuole invece risposte certe.
Ecco perché sono spuntati tanti test “non convenzionali” ovvero “alternativi” in grado di dare risposte “sicure” in tempi brevi, come il test EAV (elettroagopuntura secondo Voll, Vega test, Sarm test, Biostrength test e loro varianti), Test di provocazione/neutralizzazione, Biorisonanza, Analisi del capello, Pulse test, Test del riflesso cardiaco-auricolare, Test Melisa, Mineralogramma, Iridologia, Kinesiologia applicata (DRIA test e simili), Test Bioenergetico dei Virus e Batteri, tutti questi e altri simili non sono da considerare attendibili, in quanto non sono in grado di individuare agenti causali di presunte "intolleranze alimentari", sono privi di validazione scientifica e non sono riproducibili.
La celiachia
Un discorso a parte merita la celiachia.
Malattia che un tempo veniva chiamata “sprue” o malassorbimento, prevalente solo nella prima infanzia e molto grave. I bambini che ne erano affetti, soffrivano di diarrea persistente e malassorbimento severo, e se non curata poteva avere esito fatale. (5)
La celiachia è stata considerata una malattia rara fino agli anni ’80, con una prevalenza di 1 caso ogni 2000-3000 ed esordio quasi esclusivamente pediatrico. Inoltre, la biopsia intestinale ha costituito fino a quel periodo l’unico metodo diagnostico per individuare la tipica lesione intestinale (appiattimento dei villi intestinali), un metodo invasivo a cui si sottoponevano solo i soggetti con sintomi evidenti o gravi. L’epidemiologia della celiachia è cambiata radicalmente a partire dagli anni ’90 quando, a fronte della significatività di studi clinici multicentrici, sia la diagnostica sierologica (di crescente sensibilità e specificità) sia i test genetici sono stati sviluppati e gradualmente introdotti nella pratica clinica. I principali risultati del progresso scientifico sono il drammatico aggiornamento dell’incidenza della celiachia in Italia (si stima 1 soggetto ogni 100 persone) e l’aumento degli individui diagnosticati (attualmente 20.000 nuove diagnosi all’anno, con un incremento annuo di circa il 20%) (6)
La celiachia è un’intolleranza permanente su base genetica al glutine, una sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, grano khorasan (kamut), orzo, segale, spelta e triticale.
Le manifestazioni cliniche della celiachia sono estremamente variabili.
È possibile distinguere diverse forme cliniche di malattia celiaca, a seconda delle modalità di presentazione clinica (manifestazioni intestinali ed extra-intestinali, età del paziente, concomitanza di una o più patologie associate), delle alterazioni istologiche della mucosa intestinale (biopsia) e dei valori sierologici (anticorpi): la forma tipica ha come sintomatologia diarrea e arresto di crescita (dopo lo svezzamento), quella atipica si presenta tardivamente con sintomi prevalentemente extraintestinali (ad esempio anemia), quella silente ha come peculiarità l’assenza di sintomi eclatanti e quella potenziale (o latente) si evidenzia con esami sierologici positivi ma con biopsia intestinale normale. Queste due ultime forme cliniche in assenza di sintomi specifici sono diagnosticabili solo nell’ambito di “popolazione” a rischio (persone con una predisposizione genetica o con malattie autoimmuni) sottoposta a test di screening. (7,8)
Per curare la celiachia, attualmente, occorre escludere dal proprio regime alimentare alcuni degli alimenti più comuni, quali pane, pasta, biscotti e pizza, ma anche eliminare le più piccole tracce di glutine dal piatto. Questo implica un forte impegno di educazione alimentare. Infatti l’assunzione di glutine, anche in piccole quantità, può provocare diverse conseguenze più o meno gravi.
Questo aspetto ha indotto l’industria alimentare allo sviluppo e alla commercializzazione di alimenti senza glutine, anni fa reperibili solo in farmacia ed ora invece presenti in molti negozi e nella grande distribuzione. Spesso nelle famiglie in cui è presente un soggetto celiaco si tende ad eliminare tutti gli alimenti contenenti glutine e anche i soggetti non celiaci si abituano a consumare prevalentemente quelli certificati privi di glutine anche se più costosi.
L’offerta commerciale degli alimenti gluten-free è spesso pubblicizzata come più sana e più dietetica, con forme più o meno subdole, al punto da indurre anche soggetti sani a scegliere questi prodotti.
La stessa cosa avviene con la proposta commerciale di latte privo di lattosio, definito “più leggero” o con quella di latticini addizionati con omega-3, indicati per “prevenire” malattie cardiache.
Si sfrutta la scarsa conoscenza scientifica (come è ovvio) del consumatore, per indurre la necessità di scegliere certi prodotti più costosi.
Inoltre la scarsa conoscenza approfondita di un problema (come l’allergia appunto) va di pari passo con una eccesso di informazioni medico-sanitarie da cui siamo bombardati quotidianamente. L’attenzione viene focalizzata su alcuni alimenti dannosi e su patologie apparentemente molto diffuse, non molto gravi, curabili con il fai-da-te (basta eliminare il cibo incriminato) come appunto le intolleranze e le allergie, oltretutto spesso confuse e ritenute sinonimi. Questo mix produce in molti casi anche l’autodiagnosi di reazione avversa al cibo.
Ne ho sentite di tutti i colori: c’è chi sostiene di essere dimagrito togliendo dalla dieta solo il latte o il frumento, chi accusa la vitamina C (ebbene si!) di provocargli giramenti di testa e altri sintomi, chi ritiene di essere intollerante all’acido acetil salicilico, ma prende aspirine per il mal di testa, fino a chi soffre di intolleranze intermittenti, perché magari a colazione si nutre solo di alimenti dietetici per celiaci o intolleranti al lattosio, ma di sera si abbuffa (senza conseguenze) di pizza farcita con mozzarella e bufala.
“Bufale” appunto (non le cito casualmente) sono le molte diagnosi di allergie immaginarie. Intendiamoci le allergie e le intolleranze sono patologie reali, esistono e sono diagnosticabili dal medico e dai test veri e accreditati. Ma se avete qualche sintomo persistente fastidioso o peggio, non vi fidate dell’amica, del giornale, dell’omeopata o del medicastro olistico, ricorrete alla medicina vera (e unica), e nel frattempo non buttate via denaro negli alimenti privi di qualcosa.
Bibliografia
1) Bengtsen U N-BU, Hanson LA, Ahlstedt S: Double blind, placebo controlled food reactions do not correlate to IgE allergy in the diagnosis of staple food related gastrointestinal symptoms.Gut 1996; 39: 130–5;
2) Lack G: Clinical practice. Food allergy. N Engl J Med 2008; 359(12)1252–60.
3) Skipala I. Adverse Food Reactions—An Emerging Issue for Adults Journal of the American Dietetic Association Volume 111, Issue 12 , Pages 1877-1891, December 2011
4) Zuberbier T, Edenharter G, Worm M, Ehlers I, Reimann S, Hantke T, Roehr CC, Bergmann KE, Niggemann Prevalence of adverse reactions to food in Germany - a population study. B. Allergy. 2004 Mar;59(3):338-45)
5) Perticarari S, Presani G, Trevisan M, Savoini A, Cauci S. Serum IgA and IgG antibodies to α-gliadin: Comparison between two ELISA methods. Ricerca in clinica e in laboratorio October–December 1987, Volume 17, Issue 4, pp 323-329
6) Mustalahti K, Catassi C, Reunanen A, Fabiani E, Heier M, McMillan S, Murray L, Metzger MH, Gasparin M, Bravi E, Mäki M; Coeliac EU Cluster, The prevalence of celiac disease in Europe: results of a centralized, international mass screening project. Project Epidemiology Ann Med. 2010 Dec;42(8):587-95. doi: 10.3109/07853890.2010.505931.
7) Lepore L, Martelossi S, Pennesi M, Falcini F, Ermini ML, Ferrari R, Perticarari S, Presani G, Lucchesi A, Lapini M, Ventura A. Prevalence of celiac disease in patients with juvenile chronic arthritis. J Pediatr. 1996 Aug;129(2):311-3.
8) Pietzak M . Celiac disease, wheat allergy, and gluten sensitivity: when gluten free is not a fad. JPEN J Parenter Enteral Nutr. 2012 Jan;36(1 Suppl):68S-75S. doi: 10.1177/0148607111426276.
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Alla prossima.