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sabato 28 gennaio 2012

Scienza for dummies - 1

Spiegare la scienza non è un compito facile.
Lo sa chi la scienza l'ha studiata e chi cerca di capirla. Molti concetti sono astratti, altri richiedono basi che non sono alla portata di tutti ed i meccanismi che permettono di giungere ad una conclusione scientifica possono richiedere un impegno ed un'applicazione che costano fatica e tempo.
Capire la scienza, la ricerca e gli studi è però un esercizio molto gratificante: apre la mente, incuriosisce e soprattutto rende più evidenti i principali fenomeni che regolano la nostra vita.
Ho pensato che può essere utile rendere comprensibili alcuni processi che permettono ad una teoria o ad una ipotesi di diventare o meno "scientifica", rendere "pratico" un processo che può essere lungo e complicato serve a tutti, anche a me che con la scienza devo fare i conti ogni giorno. Ho avuto molti dubbi scrivendo questo articolo, so che risulterà un po' indigesto, prolisso (e quando mai...) e probabilmente meno appassionante di altri, ma capire certi passi è necessario per compierne degli altri più grandi. Dico sempre di approfondire qualsiasi notizia vi interessi, soprattutto quelle importanti sulla salute, è fondamentale, ma come approfondire una notizia scientifica o medica se non si ha la minima conoscenza di ciò che si sta analizzando?

Cercherò di spiegarne i principali meccanismi in maniera comprensibile e, non me ne vogliano i puristi, arrivare ad un pubblico sempre più vasto sarebbe un grande risultato soprattutto oggi quando viene venduta come scienza vera e propria spazzatura. Un'ipotesi diventa scientifica quando chi l'ha proposta la verifica con metodi che cercano di escludere per quanto possibile errori, condizionamenti e false convinzioni. La stessa esperienza è poi ripetuta da altri individui (chiamiamoli scienziati, per facilitare la comprensione del discorso) che, se ottengono gli stessi risultati, possono confermare o meno che l'ipotesi di partenza è corretta.
Quante volte ho sottolineato che finchè gli studi scientifici non confermano un'idea questa rimane un'ipotesi indimostrata?
Quante volte si dice che l'esperienza personale non è scienza ma "aneddoto"?
L'argomento è vasto ed a tratti ingarbugliato ma proviamoci, ne vale la pena. Dedicherò una serie di articoli alla spiegazione dei meccanismi della ricerca, degli studi, parlerò di come si progetta un esperimento scientifico, quali sono i possibili errori e come si può giungere a conclusioni errate anche senza volerlo.
Spero di non essere noioso e di rendere piacevole la lettura di un argomento che spesso è trattato come "d'elite" e per questo non popolare.
Se la scienza diventasse popolare scomparirebbero dalla Terra l'ignoranza e la superstizione e per i ciarlatani non servirebbero giudici o polizia ma basterebbero le nostre conoscenze, un po' di mente critica ed un sano uso della ragione.

La prima parte è dedicata a ciò che si chiama "evidenza scientifica" con piccole digressioni nel torbido mondo di chi ha provato a bluffare rischiando di truffare l'intera umanità.

Introduzione: Scienza, evidenza ed onestà.

Lo "scientificamente provato" è un concetto molto delicato.
Nonostante questo articolo possa sembrare filosofico e lontano dagli argomenti tipici che tratto lasciatemi scrivere delle riflessioni sulla scienza, gli scienziati e le ricerche.

Viviamo immersi in concetti ormai assimilati come "accertati", diamo per scontati assiomi che abbiamo appreso nei banchi di scuola e la nostra società è regolata da princìpi che sembrano innati, ineccepibili ed innegabili.

Se dico che la Terra è al centro del sistema solare e ruota assieme ad altri pianeti attorno ad una stella potrà sembrare elementare e banale provare a discuterne. E' certo.
Siamo "certi della certezza" di questo fatto?
Ok, non entriamo nella filosofia ma se pensate un attimo alla Terra, chi di voi l'ha "vista"? E chi ha visto che ruota attorno al Sole?
Per dirla tutta, siamo sicuri che la Terra sia un globo che ruota su se stesso? Come facciamo a dirlo, non abbiamo mai visto con i nostri occhi la Terra ruotare né ci sentiamo muovere la Terra sotto i piedi.

Ci fidiamo delle conoscenze di chi ha studiato l'astronomia e la fisica. Crediamo a quello che qualcuno, più esperto di noi in un dato argomento, ci riferisce.
Se gli astronomi dicono che la Terra è rotonda e ruota attorno al Sole ed è immersa nello spazio non può essere che così.
In questo modo, ogni altra teoria che smentisse questa "certezza" fino a quando non viene dimostrata come corretta, resta falsa, sbagliata da chiunque essa provenga.

Questo concetto possiamo applicarlo in tutti i campi dell'esistenza umana. Siamo fatti di atomi ma quanti di noi hanno visto un atomo? Lo sappiamo perchè "qualcuno" ce lo ha raccontato. Siete così sicuri di avere un cuore che batte? Lo avete mai visto? Chi vi dice di non avere un meccanismo svizzero in acciaio che pulsa ritmicamente al centro del petto? Avete dato fiducia ad un anatomista e poi ai suoi successori. Ma se l'anatomista non ha visto mai il pianeta Terra con i suoi occhi, l'astronauta non ha mai visto (probabilmente) un cuore battere dal vivo.

L'essere umano, pur essendo (forse) l'abitante più intelligente del pianeta, non è capace di conoscere tutto. E' praticamente impossibile trovare uno di noi con una cultura tanto smisurata da potersi definire esperto in qualsiasi campo dello scibile umano. L'uomo allora ha pensato bene di "dividersi i compiti": da buon animale sociale ha creato dei campi di utilità e li ha affidati ad ogni componente della comunità. C'è quello che sa procurare cibo, l'altro che sa costruire ripari per la notte, quello che cura le ferite e l'altro che sa orientarsi nella foresta di notte.
Ognuno è utile al gruppo ed in cambio usufruisce dei benefici dello stesso gruppo (tutti per uno ed uno per tutti, no?). Ma l'uomo è mortale, così presto ha capito che quelle conoscenze dovevano essere trasmesse, da padre in figlio e da un componente del gruppo all'altro. La società non avrebbe mai potuto fare a meno dell'esperienza e della sapienza di uno.
Se fosse venuto a mancare il fornaio nessuno avrebbe potuto sostituirlo ed anche il cacciatore, la sarta o il guerriero ne avrebbe sofferto, sarebbe morto ed il gruppo in breve si sarebbe estinto.

Allora si cominciavano a tramandare le arti ed i mestieri, poi le conoscenze e la sapienza.
Ogni generazione avrebbe affinato le arti, imparato dagli errori, selezionato il buono ed il cattivo fino ad arrivare ad una quasi perfezione che ha reso l'uomo un essere imbattibile e praticamente senza rivali. Noi dominiamo sulla Terra perchè siamo stati capaci (grazie alle nostre qualità fisiche) di diventare una società con gli individui interdipendenti tra loro ma assolutamente differenti uno dall'altro.
Tutto questo fino ad oggi.

La scienza si è evoluta così. Ciò che sembrava evidente cinque secoli fa oggi è sorpassato e ciò che sarebbe stata un'eresia nello stesso momento dell'antichità oggi è di una evidenza sfacciata.
Un procedimento scientifico apparentemente sembra un percorso complicatissimo, intricato e con poca possibilità di errore ed invece è talmente semplice che diventa disarmante e per questo passibile di errori.
Se una teoria vuole trasformarsi in realtà deve semplicemente essere dimostrata. Ma non basta una sola dimostrazione, questa può essere dovuta al caso, a fattori sconosciuti, all'incapacità di capire, deve essere ripetibile.

Se sono convinto che gli asini volano e voglio farlo sapere al mondo e per dimostrarlo scatto una foto del mio asino sospeso in aria, devo anche saper dimostrare che quello non è il mio asino lanciato da un dirupo e fotografato al volo mentre precipita ma che ogni asino ha la possibilità di librarsi nell'aria o che almeno il mio lo faccia (allora non tutti gli asini volano ma solo il mio potrebbe essere dotato di questa capacità insolita). In pratica il fenomeno non può essere dichiarato reale se io sono l'unico a vederlo (realmente o fraudolentemente). L'osservabilità quindi è il primo scalino di una dimostrazione scientifica: se un fatto avviene deve essere osservato.
Non devo riuscirci solo io però, si potrebbe pensare che il mio asino voli perchè l'ho gonfiato con un gas leggerissimo, deve riuscirci chiunque voglia ripetere la mia esperienza: la ripetibilità. Chiunque ripeta l'esperienza in quelle condizioni otterrà un risultato simile (o uguale, meglio) al mio.

Allo stesso tempo ogni esperienza deve essere misurabile. Non "a spanne" ma in maniera precisa e riconosciuta.
Se organizzo la dimostrazione del volo del mio asino non basta urlare che c'è stato un leggero ma netto movimento verso l'alto delle sue zampe, deve essere possibile misurare questo spostamento e decidere se è definibile come "volo" o soltanto come un normale movimento degli arti inferiori, la misurabilità.

"Semplice" quindi. Voglio dimostrare al  mondo che gli asini hanno la capacità di volare? Basta aspettare che tutti o la maggioranza degli osservatori ne vedano almeno uno, che chiunque abbia un asino riesca a farlo volare e che quel volo abbia le caratteristiche del volo, in un modo o nell'altro. Se raggiungo questi criteri ho dimostrato una mia convinzione personale trasformandola in un fatto scientifico. Ma non è finita (noiosa la scienza eh?) e queste "lungaggini burocratiche" spiegano anche perchè i progressi della scienza sono spesso lentissimi. In questo modo avrei dimostrato che un asino vola: ma è una capacità di tutti gli asini o quello che ho visto è un asino speciale?
A questo servono le statistiche, gli studi con grossi campioni (cioè possibilità di osservazione del fenomeno) e quelli multicentrici (che si svolgono in posti differenti). Questo perchè il mio asino potrebbe volare perchè soffre di una malformazione che gli ha dato questa possibilità: la mia osservazione quindi non equivarrebbe a quella che gli asini volano ma che ne vola solo uno, il mio.

Ma c'è una scappatoia a queste lunghe procedure. L'evidenza.
Se non riesco a far vedere a tutti il mio asino che vola perchè è timido ed ogni tanto si rifiuta, se non ripete i suoi voli perchè nei giorni nuvolosi si intristisce e rinuncia a spiccare i salti, se quando vola lo fa in maniera tanto confusa e goffa che una misurazione è impossibile, ma vola, e questo lo ritengo certo perchè lo trovo un giorno su un albero, l'altro al terzo piano di un palazzo ed il giorno successivo sopra una torre inaccessibile, vi è un'evidenza. L'evidenza però deve essere controllata: qualcuno porta quell'asino sopra l'albero o la torre? Sono io che con un potente getto d'aria o con delle funi sollevo l'asino fino a farlo salire in alto? Insomma, l'evidenza è un fatto reale o è solo un trucco o l'immaginazione?
Se escludiamo frodi e condizionamenti (potrebbe essere tutto un sogno), l'evidenza è certa: quel fatto avviene.
Non sappiamo come e perchè, nessuno riesce a dimostrarlo scientificamente ma quell'asino vola, c'è poco da fare. Fino a prova contraria.


La ricerca scientifica è proprio come cercare un asino che vola. Per fare un passo avanti deve compiere migliaia di tentativi (ne abbiamo fatti di passi avanti eh?) e solo alcuni di questi superano tutti gli scogli, quello dell'osservabilità (in medicina, se ho la febbre e mangio foglie di salice la febbre diminuisce), quello della ripetibilità (ogni volta che ho la febbre e mangio salice, la temperatura diminuisce) e della misurabilità (ogni volta che ho la febbre e mangio salice, la temperatura presa con il termometro, diminuisce di due gradi).

Potrei anche non conoscere i motivi di questi effetti ma non posso negarli: esistono.
Non so bene perchè, non ho gli strumenti per analizzare il salice ma puntualmente, ogni volta accade la stessa cosa. Se il salice mi fa star bene più di quanto mi può fare stare male la prossima volta che ne avessi bisogno potrei usarlo per abbassare la febbre e potrei consigliarlo pure ai miei vicini, ai miei amici e famigliari ed anche loro avranno gli stessi risultati a fronte di disagi minimi e sopportabili. Poi estendo l'esperienza ai miei colleghi di lavoro così da aver provato il mio rimedio su circa 200 persone. Ho scoperto l'Aspirina. Ma non è tutto.
Devo essere sicuro che gli effetti di questo rimedio non siano il frutto di una condizionamento mentale, che non sia tutta immaginazione e non ho che una scelta per capirlo con maggiore sicurezza possibile: sperimentarlo.

Così come ho agito finora non ho avuto alcuna prova scientifica che il mio rimedio possa funzionare, ho solo un metro personale che potrebbe essere condizionato da tanti fattori ed anche chi volesse utilizzare il mio nuovo prodotto per la sua febbre non può essere sicuro del risultato. Come si fa a sperimentarlo correttamente? Ne parlerò più avanti.

C'è una domanda comunque che assilla tanti scienziati: fino a quando potremo "scoprire" qualcosa di nuovo? Fino a quale limite ci spingeremo?
Forse non tutti ci fanno caso ma soltanto negli ultimi 200 anni (due secoli) abbiamo compiuto dei passi talmente enormi ed inimmaginabili che ora, per forza di cose, il passo rallenta, diventa sempre più fine, non puntiamo a grandi conquiste quanto a piccoli perfezionamenti.
Quattro generazioni fa (quindi per i padri dei nostri nonni o per i nonni di chi è meno giovane) l'invenzione più clamorosa fu la radio, sperimentata da Marconi nel 1895 un'impresa praticamente impossibile fino ad allora. La fotografia non esisteva e fu presentata per la prima volta in quegli anni, così come il cinema, grande e strabiliante invenzione umana. Fu sempre in quegli anni che fu brevettata la lampadina elettrica che oggi è "la norma" in tutte le case e con essa arrivarono anche beni "superflui" come la Coca-Cola.
Poi arrivò l'Aspirina, proprio quella. La compressa che sembra ormai una pillola banale, sorpassata, eppure da quella in poi fu una cascata di scoperte, brevetti, invenzioni che ci portano ai giorni nostri.

Questa storia è affascinante e coinvolgente. Pensare che in pochissimi anni siamo riusciti a passare dal primo aereo allo Space Shuttle è sinceramente strabiliante.

A che punto siamo quindi? Siamo al punto che, tranne scoperte rivoluzionarie, la scienza ha rallentato il suo passo. Di fronte alle grandi invenzioni degli scorsi decenni, probabilmente per qualche anno cammineremo molto più lentamente, che chi ha ipotizzato pure un limite alle scoperte e non è una teoria così stramba, in fondo.
Per questo motivo le evidenze cominciano a scarseggiare (abbiamo avuto tempo a sufficienza per accorgerci dei fenomeni che ci circondano) e dobbiamo affidarci a studi scientifici sempre più complicati e "fini" per passi piccolissimi, tanto che a qualcuno questi sforzi sembrano eccessivi.
E' logico ed economico ad esempio spendere milioni in ricerca e sfruttare risorse importanti per "scoprire" o dimostrare (provare a dimostrare) che sono più efficaci 480 milligrammi di Aspirina invece dei canonici 500?
Ha senso sprecare tempo, denaro e forza per inventare un motore che consuma 1 litro ogni 10 chilometri invece che ogni 9?

Sono problemi al limite della paranoia ma si confrontano con il concetto che la scienza non può fermarsi. Anche un piccolo passo oggi, un'osservazione apparentemente insignificante, un giorno potrà aprire le porte alla rivoluzione, alla conoscenza completa di un argomento, per questo esistono gli scienziati ed i loro studi, per questo motivo i ricercatori continuano a studiare qualsiasi argomento.

E le ricerche e gli studi allora, servono ancora? Certamente sì, ma anche qui si apre un capitolo senza fine.
Sono tutte efficaci? Tutte attendibili? Sono falsificabili? Sono tutte vere o anche tra gli studi più prestigiosi esistono "buchi neri" che lasciano perplessi?
Come in tutte le attività umane la scienza può essere utilizzata a fin di bene o a servizio del male, può essere onesta e pulita come corrotta e falsa, può rappresentare il nobile intento di progredire come l'oscuro fine dell'interesse personale.
Sull'attendibilità degli studi scientifici il dibattito è sempre caldissimo. Uno studio, pur se preciso, ben condotto e valido deve essere letto per quello che è: relativo alle notizie che fornisce senza concludere nulla, anche davanti ad un risultato eclatante.
Questo vuol dire che non esiste certezza nella scienza e non esistono nemmeno studi "definitivi". Quante volte l'avrò detto?
Le novità scientifiche non sono infallibili, eterne o dogmatiche, Popper insegna che anche le conoscenze scientifiche più evidenti e plausibili sono sempre superabili, migliorabili e sostituibili, fino ad essere pure smentibili con il tempo. Una teoria scientifica:
deve disporsi al controllo pubblico, da chiunque, e pertanto disposta a sottoporsi a qualsiasi prova di falsificazione. Se esce indenne da tali prove la teoria risulta buona per risolvere un tal problema, se ne esce falsificata la teoria non è valida, non è scientifica, e in ogni caso qualora risultasse valida verrebbe prima o poi sostituita da una teoria migliore.

Lo "scientismo" è un estremismo negativo, tanto che una scoperta scientifica, per essere ritenuta tale, deve essere falsificabile. Non esistendo scoperta scientifica "eterna" ogni novità smentisce quella precedente. Qualcosa che sembra una contraddizione ma che invece ha definito in maniera più moderna e realistica il pensiero scientifico.
Questo vuol dire che la scienza non è un dolmen immovibile, lo è al massimo nel momento in cui la viviamo ma prima o poi si muoverà ed è pure la risposta alla critica che proviene da parte di molti pensatori "alternativi": la scienza crede di avere la verità in mano.
Non è così. La scienza non può avere la verità in mano, per definizione: per formazione, uno scienziato è qualcuno che si evolve e cambia continuamente conoscenze, ne acquisisce di nuove e con queste trasforma quelle vecchie. Al limite la scienza ha la conoscenza in mano, perchè tutto è relativo al tempo che vive.

L'idea dello studioso con la..."scienza infusa", è antica e proviene dalla visione ignorante e gelosa che le classi povere ed analfabete avevano dei "colti" e degli studiosi. "Sanno tutto loro", "credono di sapere" quando per ironia queste critiche provenivano da persone che non sapevano nulla (non avevano nessuna base culturale) e credevano di conoscere tutto (erano padroni solo di ciò che facevano, coltivare, mangiare, dormire).
Lo scienziato può essere anch'esso presuntuoso e fermo nelle sue posizioni: non è quindi un uomo di scienza ma un uomo di fede e come tale non è attendibile come scienziato.

Allora nella realtà gli studi scientifici che leggiamo nelle riviste di fisica, medicina o chimica, sono tutte attendibili? Dobbiamo crederci ad occhi chiusi?
No.
La risposta è drastica: NO.
Esistono sempre i casi in malafede, lo studioso che per interessi personali falsifica dei risultati o addirittura uno studio intero, questo sia riguardo ad argomenti che incidono relativamente poco sulla vita quotidiana (i rapporti tra le molecole di un materiale plastico ad esempio) sia in quelli che potrebbero condizionare la vita se non la sopravvivenza immediata degli esseri umani (per esempio gli studi sui vaccini).

La malafede è sempre in agguato: scienziati, ricercatori e studiosi non hanno nè una tara genetica che li rende immuni, nè hanno preso i voti di santità, sono uomini e tra loro può esistere la pecora nera. Per questo motivo la ripetibilità dei risultati di uno studio è un meccanismo di controllo: se uno è disonesto è molto difficile che lo siano 10, 100 o tutti gli altri. Lo stesso se l'errore è in buonafede: sbaglia uno ma 1000 controllano. Anche per questo il fantomatico "complotto" medico che nasconderebbe cure efficaci per le malattie gravi è oggettivamente irrazionale.

Esistono esempi di studiosi in malafede che hanno falsificato coscientemente degli studi?
Tantissimi.
Persone rispettabili, con una carriera sicura e redditizia si sono lasciati incantare dalle sirene del successo cadendo poi nella trappola dell'inganno. Dalle pagine di questo blog abbiamo imparato a conoscere Andrew Wakefield e Jacques Benveniste. Ambedue "normali" esponenti della scienza poi caduti nella pattumiera della ciarlataneria. Qualche settimana fa abbiamo conosciuto addirittura dei premi Nobel che poi sono diventati paladini della pseudoscienza. Ma non sono gli unici casi noti.
Ne esistono altri e c'è di peggio: scienziati che hanno falsificato i dati, manipolato le conclusioni, ingannato i colleghi. La frode scientifica è un'onta gravissima nel campo della ricerca è come il doping nello sport e si dice che persino scienziati come Newton o Pasteur durante i loro studi si concedevano qualche "aggiustamento" per confermare le loro teorie. Come E. Racher o William Summerlin.
Quest'ultimo era uno scienziato che si occupava di dermatologia che annunciò di essere riuscito a trapiantare dei tessuti animali tra esseri non compatibili senza causare rigetto. Per dimostrare la sua (eccezionale) scoperta presentò dei topolini bianchi che avevano delle macchie nere sulla pelle, quelle macchie erano i tessuti trapiantati ed il topolino riuscì a mantenerli integri e sopravvivere senza alcun effetto collaterale e rigetto. Una scoperta del genere fu accolta con sorpresa ed incredulità: trapiantare un tessuto o un organo senza provocare alcun rigetto in un individuo non compatibile apriva spiragli incredibili in medicina e soprattutto contraddiceva una marea di studi e ricerche ormai considerate certezze scientifiche.
I giorni passavano e le macchie sbiadivano e quando qualcuno ebbe l'idea di passare un batuffolo di cotone imbevuto d'alcol scoprì che oltre a sbiadire le macchie scomparivano, venivano cancellate dall'alcol. In pratica le zone nere che rappresentavano il "tessuto trapiantato" erano state disegnate da Summerlin con un pennarello. Sembra una barzelletta ma non lo è.
Una frode ridicola, smascherata ed ammessa dallo stesso scienziato quando messo alle strette che si giustificò con il suo stato di salute secondo lui molto precario ed esaurito dal punto di vista nervoso. Da quel giorno, "dipingere il topo" è un'espressione utilizzata negli Stati Uniti per definire la frode scientifica.
Ma fortunatamente questi sono casi limite. La maggioranza degli studi sono realizzati da persone che impegnano la loro vita onestamente ed al servizio del progresso.

Ma se uno studio scientifico è ben fatto ed accurato, mette la parola fine riguardo ad un argomento?
No.
Pure lo studio più attendibile deve sempre essere letto per quello che è e per quello che vuole dire. L'eternità e l'immobilità non sono scienza, ciò che conclude uno studio, pur se preciso e statisticamente corretto, può essere smentito l'indomani con uno studio simile o soltanto perchè si sono svolte misurazioni in maniera differente.
Lo spunto per capire meglio questo fenomeno posso fornirvelo facilmente.

Se io ponessi una domanda: reputate scientificamente dimostrato che il paracadute protegga dai traumi da caduta libera?

Cosa rispondete? Sì!
Qualcuno ha risposto no? Dai, tutti rispondono istintivamente di sì. Il paracadute protegge dai traumi da caduta libera, è palese, evidente, elementare, è scientificamente provato.
Ah sì?
Io vi dico di no, scientificamente (e provocatoriamente).

Non esistono chiari elementi provati e corretti scientificamente che possano confermare questa convizione (comune). Si tratta di una provocazione, è chiaro, ma se ci attenessimo strettamente a ciò che gli studi hanno provato, anche un'idea così banale diventa difficile da dimostrare.
Due medici hanno provato a fare una "review", una revisione cioè degli studi controllati e randomizzati che portassero dati certi a favore dell'opinione suddetta. Non ne esistono. Non esistono dati scientificamente precisi che possano confermare la capacità del paracadute di proteggere un essere umano dalle cadute da altezza elevata. Pensateci bene perchè è pure elementare come concetto: può esistere uno studio ben fatto (cioè con le caratteristiche più esigenti) sull'utilità del paracadute nel proteggere dai traumi da caduta?

Lo studio è pure molto ironico ed è geniale.
Bellissimo il finale:
A questo punto ci rimangono soltanto due opzioni: la prima è di accettare che, date le circostanze eccezionali, si applichi il buonsenso nel considerare i rischi e i potenziali benefici nell’uso di questo tipo di strumento.

La seconda è che continuiamo nella nella nostra maniacale ricerca di una dimostrazione di tipo scientifico, ed escludiamo l’uso del paracadute all’infuori del contesto di un trial condotto in modo adeguato.

L’abitudine che abbiamo creato nella popolazione all’uso del paracadute potrebbe però rendere difficile trovare soggetti che siano disponibili a questo tipo di esperimento. Nel caso, restiamo certi che coloro che sostengono a tutti costi la “medicina basata su prove scientifiche”, e che criticano l’uso di soluzioni che non siano basate su questo tipo di prove, non esiteranno nel mostrare loro stessi la propria dedizione al metodo, e si offriranno volontariamente per uno studio a doppio cieco, randomizzato, con placebo di controllo, sull’uso del paracadute.
Fatevi avanti dunque, chi si offre volontario per far parte del gruppo placebo nello studio sul paracadute?
Fin qui ci siamo?
Siete già stufi o vi interessa?

Bene, nella seconda delle ipotesi proseguirò con questo argomento e nei prossimi articoli proveremo a scoprire cosa vuol dire ricerca e metodo scientifico, come si realizza e si pubblica uno studio, cos'è il placebo o il bias, cos'è una rivista scientifica ed altro, così che chi è mosso da reale curiosità per la vita possa comprendere meglio i meccanismi che la condizionano.

Alla prossima.

lunedì 16 gennaio 2012

Omeopatia animali e bambini

Se l'omeopatia è solo effetto placebo, come fa a funzionare anche sugli animali o sui bambini?

È una delle obiezioni più comuni quando un omeopata si scontra con la mancanza di effetto evidenziata dagli studi scientifici. Ma se l'omeopatia fosse un placebo come risulta da qualsiasi studio ben fatto, come mai funziona con gli animali? E sui bambini?
Questi non si fanno "convincere" o condizionare, i risultati evidentemente sono reali.
Chi ascolta questa risposta (e non conosce bene le scorciatoie logiche e verbali) spesso non sa come rispondere.
Cerchiamo allora di capire se l'affermazione che l'omeopatia funziona sugli animali (iniziamo da loro) è vera. Ma partiamo da lontano.
In Gran Bretagna (dove le cure omeopatiche sono rimborsate dal servizio sanitario nazionale), solo 50 veterinari su oltre 20.000, risultano "omeopati" (lo 0,25%), pochissimi. Nell'aprile 2005 l'associazione europea dei veterinari emanò un comunicato nel quale sottolineava che in veterinaria devono essere utilizzati metodi scientifici e non altri senza prova di efficacia, inclusa l'omeopatia. L'uso dei rimedi ultradiluiti negli animali dunque, è poco più di un mito divulgato più dalle aziende omeopatiche che dai medici veterinari. Chi conosce il trasporto e l'affetto che si può provare nei confronti di un animale, può comprendere come l'aspettativa e l'illusione di prendersi cura del proprio cucciolo siano strumenti potentissimi utili a "guarire" l'apprensione del padrone e, per conseguenza, la malattia passeggera dell'animale. Altre volte il dichiarare un animale come "guarito" dall'omeopatia risponde soltanto ad un'esigenza di mercato, quella di un pubblico (di nicchia ma sempre presente) che richiede trattamenti "olistici" (termine che non ha alcun significato scientifico) per qualsiasi cosa succeda nella vita, comprese le malattie dei propri animali.

Che gli animali non siano condizionabili è una sciocchezza, non servirebbero studi scientifici (che comunque esistono) ma la semplice osservazione: non si capisce infatti perchè gli animali non dovrebbero subire l'effetto placebo che è un processo inconscio per definizione e non volontario, per assurdo anzi gli animali potrebbero essere ancora più soggetti agli effetti del placebo anche per un semplice meccanismo di condizionamento.
Se abituiamo il nostro cane ad abbaiare ogni volta che gli mostriamo un cappello, questo non vuol dire che i cappelli causano l'abbaiare del cane, così come se lo addestriamo a darci la zampa dopo un colpetto che gli diamo sulla testa questo non può farci concludere che i colpetti nella testa dei cani causino uno scompenso neurologico che si trasmette tramite il sistema simpatico e si esprime in una contrazione muscolare che fa tendere i muscoli della zampa verso la nostra mano. Lo abbiamo semplicemente addestrato, condizionato.
Uno dei primi (e più noti) esempi di condizionamento animale è quello di Pavlov.
Non è un caso che l'effetto placebo sembra mediato da una sostanza (si chiama dopamina) che è legata ai meccanismi del piacere e della ricompensa e che le aree cerebrali coinvolte nei risultati del placebo sono quelle più ricche di recettori per questa sostanza, presente anche negli animali. Sono note risposte evidenti da parte degli animali al semplice effetto placebo: esperimenti hanno mostrato come sia possibile avere una risposta immunosoppressiva addirittura superiore a quella ottenuta con i farmaci (ciclofosfamide) in animali esposti ad uno stimolo di condizionamento ed al placebo o addirittura ottenere un aumento di sopravvivenza al trapianto cardiaco e le prove di questo fenomeno sono evidenti.

Prima leggenda smentita quindi: gli animali sono condizionabili e rispondono perfettamente all'effetto placebo.
Ma qualcuno ha studiato gli effetti dell'omeopatia negli animali? Certamente e gli studi più raffinati confermano quanto si sa sull'omeopatia: non funziona più di un placebo. Se l'animale non ha alcuna malattia importante, prendersi cura di lui lo fa "stare meglio": è più vivace, mangia con appetito, il decorso della malattia è meno violento. Se invece l'animale ha una malattia incurabile o grave non ci sarà omeopatico capace di guarirlo. Sembra una banalità ma è esattamente quello che succede negli esseri umani.

Ma a proposito di malattie degli animali, recentemente l'attenzione si è concentrata sulle mastiti (infezione delle ghiandole mammarie) delle mucche da latte, infiammazione molto frequente in questi animali costretti a condizioni di vita stressanti e spesso innaturali, l'Unione europea vorrebbe stanziare con due milioni di euro una sorta di esperimento sulle mucche: curarle con l'omeopatia visto che l'uso indiscriminato di antibiotici può essere pericoloso (e questo è vero).
Su cosa si basi questa geniale intuizione non lo sappiamo, visto che gli studi e le prove mostrano il solito effetto placebo dell'omeopatia nella cura della mastite delle mucche (e non solo in questa, l'omeopatia non funziona nemmeno per altre malattie). Per essere precisi poi, dovremmo chiedere agli omeopati come facciano a "personalizzare" i rimedi omeopatici (questo è uno dei pilastri dell'omeopatia, che non cura "la malattia" ma "l'individuo"...anche la mucca quindi), di cosa si discute con una mucca? Come si fa a capire il suo carattere?
En passant c'è da dire che l'Animal Welfare Act, l'insieme di leggi che regolano i diritti degli animali negli Stati Uniti, proibisce di utilizzare trattamenti non scientifici nelle cure veterinarie di malattie gravi. Ma le nostre mucche sono europee.

Cura olistica per animali
A prescindere dalla loro provenienza però, si sa che preparati omeopatici nelle mucche da latte, paragonate al placebo non hanno modificato per niente la percentuale di cellule animali nel latte (che sono un segnale del grado di infezione). L'omeopatia paragonata al placebo ed agli antibiotici ha dato risultati ancora più interessanti.

L'antibiotico funzionava l'omeopatia no (nulla di strano fin qui).

Ma la cosa più interessante è che due terzi degli animali del gruppo omeopatico e del gruppo placebo, sono migliorati clinicamente dopo una settimana allo stesso modo. Se non avessimo avuto un gruppo di controllo con il placebo la ricerca avrebbe concluso che l'omeopatia funzionerebbe nelle mucche con mastite, la maggioranza di loro in una settimana stanno meglio. In realtà sono migliorate nello stesso periodo di tempo anche con l'acqua semplice, in parole povere: anche "curare per finta" una mucca la fa migliorare ma non quanto curarla davvero. E' uno dei meccanismi di "funzionamento" dell'omeopatia e si rileva anche nell'essere umano.
Se curi un'allergia con l'omeopatia per sei mesi (molte cure omeopatiche sono "casualmente" prolungate nel tempo) è altamente probabile che con i cambi di stagione (ma anche di alimentazione, vita all'aria aperta, contatti, temperature ed abbigliamento) l'allergia migliori o sparisca del tutto. Anche se non avessimo assunto nulla quindi saremmo "guariti". La differenza tra omeopatia e non assumere nulla? Il portafogli molto più leggero e la sicurezza di essere stati condizionati.
Il continuo riferimento all'omeopatia che funzionerebbe con gli animali quindi non ha alcuna base nè sostegno scientifico. Lo dicono anche gli omeopati, in una metanalisi (più o meno lo studio che riassume ed analizza le conclusioni degli altri studi sul tema) sull'uso dell'omeopatia in veterinaria: funziona come un placebo.

Tutto questo è casomai un sintomo di quanto siano condizionabili i proprietari più degli animali. L'omeopatia funziona su di loro, non sui loro amici a quattro zampe: credono di curarli, la malattia a volte passa (quando può risolversi spontaneamente) e loro sono contenti di averli curati. Lo dice anche un veterinario inglese in una lettera inviata ad un giornale che discuteva proprio dell'argomento: "ogni buon veterinario conosce il potere che possiede nel proprio ambulatorio".
È lo stesso che possiedono molti omeopati: convincere di curare fa stare meglio, anche se la cura non esiste.
Ma c'è anche un altro argomento simile. L'omepatia funziona sui bambini, impossibile quindi invocare l'effetto placebo, i bambini non sono suggestionabili.

Fortunatamente non è vero. Chi è genitore sa che prendersi cura del proprio pargolo è la migliore medicina che esista. Basta poco: la voce della mamma, qualche carezza ed il decorso delle malattie benigne del bambino scorrono come devono, si autolimitano. Quando invece la malattia è grave non esiste omeopatico che possa migliorarla o guarirla.
Il difficile in questi casi è curare l'ansia del genitori.
L'effetto placebo sui bambini ha una doppia valenza. Non funziona solo direttamente sul piccolo da curare ma anche su mamma e papà.
La convinzione che si stia facendo qualcosa, che ci si occupi del bambino, che si somministra "un medicinale", tranquillizza il genitore, lo rilassa e gli fa vivere i disturbi tipici dell'infanzia con molta meno apprensione ed ansia.
E' per questo che molti medici, di fronte ad una mamma eccessivamente preoccupata o ipocondriaca, prescrivono granuli omeopatici (che come sappiamo sono semplicemente delle caramelline di zucchero) pur di farla sentire più tranquilla.
Provare a curare una malattia grave con l'omeopatia è assolutamente pericoloso.
Che i bambini siano particolarmente sensibili all'effetto placebo è stato notato anche sperimentalmente.
In Francia, un gruppo di ricercatori ha analizzato gli studi sui farmaci antiepilettici. Negli studi i farmaci sperimentati erano paragonati ad un placebo (per misurarne le differenze di risultato) e ciò che si è visto è che nei vari studi, i bambini più piccoli mostravano più sensibilità (quindi più effetti) al placebo rispetto a quelli più grandi. In poche parole il placebo, negli studi analizzati, è più efficace (per più del 50%) nei bambini piuttosto che nei ragazzi.

Traducendo quello che ci dicono gli studi scientifici, l'omeopatia è in grado di "curare" ciò che si cura da solo mentre non ha alcuna efficacia nelle malattie ed il colmo è che non è facile trovare risultati nemmeno in patologie di tipo psicosomatico o neurologico che potrebbero trarre vantaggio da un condizionamento psicologico. La storia dell'omeopatia efficace con i bambini quindi è l'ennesima leggenda diffusa senza alcuna base reale. In una malattia incurabile per la medicina, l'uso dell'omeopatia ha un solo risultato: maggiori spese. Anche nei bambini.
Un esempio può essere la cura della dermatite atopica, una patologia della pelle che non ha cure specifiche (quelle disponibili al massimo procurano sollievo dai sintomi o miglioramenti passeggeri) e che guarisce quasi sempre dopo qualche anno dalla comparsa. La medicina fallisce, l'omeopatia pure ma quest'ultima costa quasi il doppio della prima.

In effetti sarebbe stato piuttosto singolare che l'omeopatia avesse effetti sui bambini e sugli animali senza averne sugli umani adulti, il meccanismo del presunto funzionamento non ha nulla a che vedere con i misteriosi poteri pubblicizzati dagli omeopati, effetto placebo e fede, bastano ed avanzano per convincere il più ansioso dei genitori ed il più ostinato degli allevatori.
Un aneddoto proviene proprio da un veterinario. Un signore gli porta il suo cane per un controllo. Il povero animale è in brutte condizioni, ferite cutanee, escoriazioni, zone senza pelo. Il veterinario propone degli esami ma il proprietario del cane non vuole spendere soldi e così il veterinario deve limitarsi ad un esame superficiale ed ad una biopsia cutanea.
Con pochi dati per interpretare la malattia dell'animale, il veterinario le prova tutte. Prescrive farmaci, trattamenti ma niente, il cane non guarisce.
Il proprietario allora decide di cambiare tattica, annuncia al veterinario che si recherà dal suo omeopata e così sparisce.
Dopo qualche mese il veterinario vede di nuovo cane e padrone. "Guarda qui che risultati" esclama il signore, tutto merito del mio omeopata che è riuscito dove tu non hai saputo ottenere nulla. Il veterinario resta stupito: il cane aveva un aspetto pessimo, sicuramente peggiore di quando lo aveva controllato la prima volta. Restò senza parole.
Concluse così che pur se il cane non era migliorato, per il suo proprietario lo era e questo era sufficiente a renderlo soddisfatto, per lui era guarito.
Questo fenomeno è comunissimo (qui altri casi raccontati dal veterinario di prima) e capita a tutti i medici,  parecchie volte. Convincersi di essere migliorati, chiudere la porta alla realtà (dura) e preferire una rassicurante "guarigione virtuale" che oggettivamente non esiste.

Quando si ha una malattia serve una medicina, quando la malattia non ha cure non sarà certo l'omeopatia a cambiarne il decorso.
L'appello quindi è sempre valido: non utilizzate prodotti omeopatici per curare le malattie. Se amate questa pratica per qualsiasi motivo (rilassante, tranquillizzante, emozionante) e non state davvero male, siate liberi di spendere tutti i soldi che volete, in questi casi l'unico effetto collaterale conosciuto è il portafoglio che perde di consistenza.
Fatevi furbi comunque, basta comportarsi esattamente come il proprietario della più grande azienda omeopatica al mondo, Christian Boiron, che quando ha una malattia si cura con farmaci veri.



Alla prossima.

[Aggiornato dopo la pubblicazione iniziale]

venerdì 6 gennaio 2012

Party naturali

Il parto non è una malattia.
Questa frase, se una donna è in gravidanza, la sentirà ripetere all'infinito, un mantra continuo: non è una malattia.
Io da ginecologo mi chiedo: qualcuno pensa il contrario?
Non essendo una malattia, il parto deve svolgersi nel modo più naturale, sicuro e comodo possibile. E' un evento fisiologico regolato da vari fattori che oggi fortunatamente è sufficientemente sicuro. La morte materna o neonatale è un evento rarissimo che resta una piaga soltanto nei paesi in via di sviluppo, tanto che il 99% delle morti materne avvengono nei paesi meno modernizzati, il 22% delle morti femminili da parto che succedono nel mondo avviene in India. Da noi e nelle nazioni moderne gli eventi avversi gravi legati al parto sono eventi molto rari (e che sono drasticamente diminuiti negli ultimi decenni): non si pensi comunque che l'evento parto sia scevro da rischi, complicazioni e problemi anche molto gravi. Nei moderni Stati Uniti, il tasso di morti materne è di un caso ogni 4.800 parti mentre nella nostra "bistrattata" Italia muore una donna ogni 15.400 parti. Uno studio su Lancet metteva l'Italia al primo posto tra le nazioni con meno mortalità materna ma questo dato ultimamente è stato discusso e ridimensionato, ci troviamo comunque in un'ottima posizione.

In un'epoca nella quale un dramma legato al parto diventa notizia da prima pagina dei giornali e spesso si accusano gli operatori sanitari, potrebbe stupire che una donna su sette in Niger muoia di parto "nonostante" in quella nazione non vi sia personale sanitario nè ospedali ben attrezzati: le donne partoriscono a casa, assistite quasi sempre da una donna della famiglia o da una "levatrice", in genere non formata ma improvvisata. In Niger non si denuncia nessuno per malasanità perchè quella che c'è, quando c'è, è più che abbondante in un paese che soffre la fame e la povertà. Si partorisce così, come vuole la fisiologia, come si faceva da noi un secolo fa e questo dato potrebbe servire da riflessione per chi "accusa" la nostra nazione di essere indietro in tema di sanità ritenendo responsabili i medici più di chi la sanità la gestisce.
Ma se un evento naturale e fisiologico non avesse bisogno di assistenza come mai dove l'assistenza c'è si muore pochissimo e dove non c'è, al contrario, il parto miete tante vittime? Perchè in certi paesi muoiono mamme e neonati come da noi quando nacquero le nostre bisnonne (o le nonne, se vogliamo)?
Perchè nei paesi industrializzati proprio l'assistenza al parto ha ridotto la mortalità materna (e neonatale) a livelli praticamente minimi? Un controsenso?
Non sono descritti come uno scandalo i troppi cesarei? Non viene detto che sono pericolosi più del parto spontaneo? Perchè l'Italia, uno dei paesi con il tasso più alto di tagli cesarei è tra quelli con minore mortalità materna ed infantile?
Non c'è chi dice che il parto "naturale" non ha bisogno di farmaci nè di "aiuti"?
E quindi perchè da noi si nasce bene e si partorisce con sufficiente tranquillità "nonostante" la medicalizzazione ed i cesarei? 

C'è bisogno di assistenza per partorire?
Ma se le nostre nonne partorivano sul tavolo sporco della cucina ed "andava tutto bene" che bisogno c'è di qualcuno che segua il parto?
Non è proprio così, le nostre nonne partorivano certamente sul tavolo della cucina ma quando morivano 2-3 figli su 8 non era il dramma che percepiamo oggi, anzi, qualcuna probabilmente rifletteva pure sul fatto che si trattava di una bocca in meno da sfamare. Ma anche se moriva la partoriente, tutto sommato faceva parte dei rischi (anche oggi resta il rischio, ma meno accettabile e comprensibile, ma questo è un altro argomento che potremo affrontare in futuro).
Una donna anziana mentre compilavo la sua cartella per un ricovero, al momento di raccontarmi delle sue gravidanze mi disse: "Sapesse quanti secchi ho riempito di sangue!" riferendosi agli aborti che si era procurata da sola infilandosi un ferro da calza dentro l'utero (mentre sua figlia, alle sue spalle, sorrideva).
E che "c'era di male" se quella era l'unica possibilità?
Si moriva in Italia esattamente come oggi si muore in Niger.
Di parto si muore ancora ai giorni nostri, molto di meno ma si muore e si morirà sempre. Frasi come "non è possibile morire di parto nel 2012" che spesso si leggono in articoli di giornale pronunciate demagogicamente è quanto di più ignorante e stupido si possa dire.
Questo perchè se vogliamo rendere minimi i rischi del parto abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti, che sorvegli e che in caso di bisogno ci dia una mano.
L'uomo è l'unico animale che per partorire ha bisogno di assistenza. Qualsiasi animale, dal più primitivo al più evoluto, partorisce da solo. Molti animali hanno meccanismi di parto profondamente differenti da quelli umani ma altri no, sono molto simili a noi. Gli elefanti ad esempio sfruttano la forza di gravità, il peso dei loro nascituri e partoriscono in piedi, il delfino al contrario sfrutta la "gravità al contrario" che fornisce la spinta verso l'alto dell'acqua nel quale è immersa la mamma, il delfino neonato sarà portato a raggiungere la superficie dell'acqua per effettuare il primo respiro e per lui la forza di gravità è quindi assolutamente ininfluente, per noi uomini il parto in piedi può servire ma non è certo decisivo.

Il punto fermo è che non esistono ostetriche tra i cavalli, nè si sono mai visti cani ginecologi (forse ginecologi cani, qualcuno sì) e persino le scimmie, animali vicinissimi (i più vicini) all'uomo sia geneticamente che anatomicamente, partoriscono da sole, senza alcun aiuto da parte dei propri simili (anche se sono descritti comportamenti di assistenza al parto tra scimmie).
Certi meccanismi del parto sono molto complicati da comprendere per chi non li conosce in maniera approfondita. In ostetricia si studia tutto il percorso del feto nel canale da parto, i suoi movimenti, le rotazioni del corpo, della testa, come si presenta, come progredisce, le varianti più comuni e quelle più rare ed un evento fisiologico sotto questo aspetto somiglia molto più ad un processo meccanico studiato da premi Nobel per l'ingegneria che ad un processo "naturale", il percorso del feto per nascere è complicatissimo. Un po' come conoscere come funziona il cuore: sappiamo tutti che batte e pompa sangue, ma studiarne i processi e gli eventi che causano quel battito e stabiliscono le regole di "pompa del sangue" sono talmente complicati che solo uno studio approfondito che comprenda chimica, anatomia, fisiologia ed idraulica (già, idraulica) riesce a comprenderne le regole.
Dicevamo del parto umano.
Quando uno degli innumerevoli fenomeni del parto (che dal punto di vista medico non si conclude con la nascita del bambino ma continua con l'espulsione della placenta e con il "post partum") non è fisiologico serve necessariamente assistenza. La presenza di qualcuno che si occupi della donna, non è, come si potrebbe credere, un capriccio o un eccesso di medicalizzazione. Se esiste un problema prima della nascita, l'assistenza può risolverlo facendo nascere il piccolo uomo con un taglio cesareo. Un tempo il taglio cesareo, in mancanza di antibiotici, anestesia e strumentazione, si effettuava come manovra disperata per tentare di salvare un feto di una donna già morta. Oggi possiamo affermare che il cesareo è un intervento sufficientemente sicuro ed affidabile anche se sicuramente più rischioso del parto spontaneo.
Se il problema insorge durante il parto ed il nascituro ha (per esempio) difficoltà a venire alla luce, esistono delle manovre ben precise, degli strumenti e delle precauzioni che possono risolvere tutto quasi sempre senza alcuna conseguenza. Un tempo un problema serio durante il parto condannava a morte certa il nascituro e molto probabilmente anche la donna che lo doveva partorire e forse non tutti sanno che a proposito di parto esistono eventi assolutamente imprevedibili e che nessuna manovra riesce a risolvere con sicurezza. Sia chiaro che a conti fatti il parto resta un evento sufficientemente sicuro e che non provoca alcun problema, la stragrande maggioranza delle nascite decorre senza complicazioni e dona la vita ad un nuovo essere umano e questo resta pur sempre un evento straordinario ed emozionante, ma, nonostante non sia facile comprenderlo (in quanto è percepito come evento "festoso", "felice"), le complicanze esistono da sempre.

Se, ancora, il problema insorge dopo il parto (come la temibilissima emorragia post partum che, se seria, può essere letale in pochissimi minuti) esistono diversi farmaci ed in ultima analisi la chirurgia che possono salvare una vita. Un tempo l'emorragia post partum non lasciava scampo, si moriva e morivano centinaia di donne in tutte le famiglie italiane.
Qualcuno potrebbe pensare che la causa di alta mortalità in certi paesi sia dovuta alla mancanza di igiene o di antibiotici ma questo non emerge dall'analisi delle cause di morte. Sono le complicanze post partum (emorragie, malattie materne, malattie fetali, incidenti ostetrici) la prima causa di morte materna in corso di parto o nel post partum che sono esattamente le stesse che causano le morti qui da noi, solo che in quei paesi non c'è nessuno che può risolverle.

Nei paesi moderni invece, la presenza di personale sanitario (principalmente medici ed ostetriche) che assiste tutta la gravidanza, segue il travaglio ed assiste il parto) consente non solo di identificare e spesso risolvere parecchi fattori di rischio ma di evitare qualsiasi problema possa sorgere proprio durante il momento del parto o subito dopo. Sembra scontato ma è bene ricordarlo: le donne dei paesi industrializzati muoiono raramente di parto proprio perchè partoriscono all'interno di un ospedale. Partorire a casa (pratica che in Italia è incoraggiata da alcune associazioni) è assolutamente fisiologico e possibile ma solo quando va tutto bene. Se compare una grave complicanza, le possibilità di salvarsi sono molto vicine allo zero. Un "caso" statistico vuole che nazioni come l'Olanda nelle quali il parto a casa sia molto diffuso, la mortalità materna e neonatale sia a livelli superiori della media europea.
Partorire a casa o evitare l'ospedale è un bel risparmio per le casse pubbliche e la ricerca del "naturale" a tutti i costi aiuta a contenere le spese. Un parto ed un ricovero in ospedale costano tanto ma sono garanzia di sicurezza per la donna, la sua famiglia ed il nascituro.

Qualcuno però preferisce il parto in casa o l'assistenza da parte di una "Doula". Cos'è la "Doula"?
Una donna, un'amica, una persona che decide di seguire le gravidanze ed i parti. Non un'ostetrica, un medico, non qualcuno con un titolo di studio specifico o l'esperienza di migliaia di parti sulle spalle, è semplicemente una persona che ha deciso che può aiutare una donna a partorire.
Vediamo cosa fa una Doula secondo il sito di una di loro:
- spiega le procedure mediche relative al parto (ma, attenzione, non è abilitata a svolgere compiti di tipo medico!);
- offre un sostegno di tipo emotivo;
- pratica il massaggio e altre forme di sollievo non farmacologico dal dolore;
- suggerisce le posizioni più adatte;
- incoraggia e sostiene anche il partner, quando presente, in modo che possa a sua volta sostenere la partoriente;
- se richiesto, fa da tramite con il personale ospedaliero per richieste particolari o risoluzione di problemi;
- può scrivere il resoconto del parto, se lo si desidera;
- aiuta ad attaccare immediatamente il bimbo al seno.

Nulla di illegale chiaramente (in genere) ma si spera che chi prende la decisione di partorire senza alcun ausilio sanitario sia consapevole di ciò che sta facendo.
La "scuola delle Doule" ha come obiettivo:
Creare una nuova cultura di genere, una scuola per doule che parta da un percorso esistenziale e spirituale
...e questo vorrebbe dire che le donne che partoriscono potrebbero essere assistite da una persona con una bella formazione spirituale (?) che però non sa nemmeno com'è fatto il bacino femminile.

Il parto viene trasformato da evento fisiologico e naturale in rito magico e sciamanico, sempre la scuola delle Doule dice che:
assistere ad un parto ha un valore rituale di grande importanza [...] Che il mistero del parto oggi venga consumato in ambienti privi di ogni sacralità, asettici e impersonali, toglie alle donne non solo il potere sul proprio parto [...]
Il parto diventa un "mistero", un atto sacro, rituale, un sabba.
E questo sarebbe un ritorno al naturale.


Capitolo a parte merita il dolore ed il suo controllo.

Il parto è doloroso, si sa, ma oggi disponiamo di un modo per ridurre il dolore a zero. Partorire senza dolore, si chiama partoanalgesia e c'è persino una legge che impone a tutti i reparti di prestare particolare attenzione al problema del controllo del dolore. Con una puntura che arriva tra le membrane che ricoprono il midollo spinale le donne, oggi, possono evitare l'esperienza fortissima e spesso pesante del dolore da parto.

Ecco a cosa serve l'assistenza, cosa vuol dire avere un reparto di ostetricia attrezzato, moderno, pronto ad intervenire. Una conquista del progresso dunque. Siamo proprio fortunati che i nostri figli vengano alla luce in quest'epoca e nella nostra nazione e non in altre dove la mortalità materna ed infantile è ancora a livelli elevatissimi "nonostante" il parto sia un evento "naturale".
A questo punto si potrebbe pensare che gli unici provvedimenti che debbano riguardare la situazione italiana dovrebbero mirare al potenziamento dei reparti meno grandi, all'addestramento del personale o a garantire la partoanalgesia in tutti quegli ospedali nei quali non esiste o esiste solo sulla carta. Se il livello medico ed assistenziale della nostra ostetricia è ottimo, sono pochissimi in Italia gli ospedali che offrono la partoanalgesia come servizio costante. Le percentuali fanno paura e c'è pure chi "rema contro".
Già perchè esistono sanitari (medici ed ostetriche) che con improbabili giri di parole evitano di fatto l'accesso alle tecniche di riduzione del dolore nel parto. Assicurare il "parto indolore" ha un costo importante e quindi è "comprensibile" che tra i politici qualcuno non si vergogni di dimostrare la propria ignoranza pur di non spendere soldi pubblici ma che tra i professionisti della salute si assista ad un vero e proprio "festival" di impreparazione mascherato da "naturalità" è patetico.

Ci si chiederà: ma se qualcuno fa di tutto per non effettuare la partoanalgesia un motivo ci sarà!
No...o forse sì. L'unico motivo che non fa diffondere la partoanalgesia che mi viene in mente è quello economico: un anestesista costa. Una "preghiera tibetana" no.

In realtà la partoanalgesia è una tecnica sicura, efficace, provata e con rare e precise controindicazioni. Alcune malattie che coinvolgono la coagulazione sanguigna, allergia a farmaci specifici, gravi malformazioni della colonna vertebrale, sono queste le principali controindicazioni all'epidurale (si chiama così la tecnica che annulla il dolore da parto).
La cosa stupefacente è che questa possibilità viene negata anche a donne che ne fanno esplicita richiesta e con le scuse più incredibili: "è troppo presto" ma anche "è troppo tardi" o con atteggiamenti riguardanti il dolore da parto tra il mistico e l'olistico. Il dolore, chissà perchè, forse perchè punizione divina, deve essere vissuto, combattuto, serve da motivazione, libera l'energia e così via, in un elenco che starebbe benissimo nel manuale del perfetto imbonitore. In molti corsi di preparazione al parto, si colma l'assenza del servizio di partoanalgesia con un elenco di motivazioni e spiegazioni del dolore che farebbe impallidire il più cinico dei guaritori alternativi: il dolore da parto diventa "potere", "consapevolezza", "fondamentale". Certo, è un fenomeno naturale e fisiologico esattamente come il dolore che provocherebbe un'automobile a passare sopra il piede della stessa ostetrica o del medico che sconsigliano l'epidurale. Anche provare dolore durante un intervento chirurgico è "fisiologico" ma abbiamo inventato l'anestesia per un motivo semplice: è un dolore fortissimo.

Provate a darvi una martellata su un pollice ed inspirate profondamente (ok, non ci provate ma immaginatelo): probabilmente l'energia l'avrete liberata, il dolore "vissuto" ma la voglia di urlare a squarciagola sarà incredibile e soprattutto quel dolore non vi avrà fatto piacere.
Succede proprio questo in molti reparti di ostetricia in Italia e stupisce anche il fatto che l'atteggiamento ostruzionista provenga anche dalle donne, dalle ostetriche che in quanto mamme o future mamme, quel dolore l'avranno provato o lo proveranno.
Perchè quindi c'è chi incoraggia l'introduzione di pratiche discutibilissime (veri e propri riti magici), scoraggiando al contrario interventi importanti e costruttivi?
Tutte quelle pratiche pseudo naturalistiche, magiche, alternative e olistiche che tanto fanno figo e che attirano tante donne, a cosa servono?
Partorire nell'acqua o attaccati al ramo di un albero è davvero una panacea?
Il dolore del parto è "sopportabile"?
Ma certo che è "sopportabile", le donne lo hanno sopportato per secoli, il problema è che è davvero forte, fortissimo ed anche molto soggettivo. C'è chi "sopporta" con successo e chi no ed esistono inoltre diverse storie legate ad una gravidanza e non tutte consentono di sopportare il dolore. Finchè non esistevano alternative c'era poco da fare, oggi che le alternative ci sono non vengono praticamente adottate. Forse perchè esistono altri modi di "sopportare" questi dolori?
Fare meditazione, recitare un mantra o fissare un disegno mandala evocando i sacri fumi di giada porta un miglioramento dell'esito o della sopportazione di un travaglio di parto?
La risposta potrebbe sembrare "maternamente scorretta" ma è netta: NO.
Tanto per chiarire ai maschi cosa significhi dire dolore da parto visualizziamolo in una scala:


Il dolore da parto è considerato tra i più forti, inferiore solo a gravissimi traumi come l'amputazione di un dito.
Questo fatto non deve "demoralizzare" o impressionare le donne, anzi, deve indurle a chiedere metodi di riduzione del dolore, pretenderli, perchè esistono e sono previsti dalla legge e se proprio dovessi dire qualcosa a favore delle donne direi: evitate gli ospedali che non vi garantiscono (per chi la desidera) la partoanalgesia.

Dispiace da un lato distruggere il miraggio del parto senza dolore recitando preghiere tibetane ma è così, l'alternativa è partorire a casa o dove non ci assiste nessuno.
Esiste una sola possibilità quindi di partorire spontaneamente senza dolore: l'analgesia locoregionale, la cosiddetta "epidurale".

Tutte le pratiche alternative legate al parto sono una perdita di tempo bella e buona. La donna che per sua scelta voglia evitare flebo, monitoraggi, camici che girano visitandola ogni ora ha sempre quell'alternativa: partorire a casa.
Se si entra in ospedale non si può pretendere che il personale che sta esercitando una pratica medica si trasformi per il piacere del singolo individuo in uno stregone vudù.
E' chiaro che passare un'ora in una vasca piena d'acqua tiepida può rilassare psicologicamente una donna in preda alle contrazioni, recitare i salmi dei faraoni thailandesi potrebbe distrarre temporaneamente una partoriente dal ritmico scandire dell'attività contrattile ma non fa partorire nè prima nè meglio, nemmeno se praticassimo il passo vibrazionale dell'emù norvegese.
C'è poco da fare e bisogna rassegnarsi. Chi vuole può benissimo rinunciare alla medicalizzazione del parto e organizzare a casa propria (sola o in compagnia, questo è relativamente importante) una vera e propria sala dei rituali, chi invece va in ospedale lo fa evidentemente per questioni di sicurezza e come pretende professionalità e cure mediche (non riti magici) ha il dovere di rilassarsi affidandosi al personale competente.
Certo, attorno a queste pratiche magiche c'è tutto un giro commerciale, centri di "naturopatia", scuole di yoga, "circoli olistici" che promettono parti in rilassamento e gestione del dolore, travagli di parto tranquillissimi e neonati che saltellano dall'utero della madre al pavimento senza nemmeno farsi sentire, promesse bellissime e chimere irresistibili per chi ha un vero e proprio terrore dei dolori del parto. Tutto facile, naturale e spontaneo. Tranne in caso di problema quando bisogna andare subito in ospedale assicurandosi che sia raggiungibile in 30 minuti al massimo. E' proprio questo il punto: quando c'è quel problema.
Perchè se un parto va bene, andrà bene sia a casa che in ospedale e persino se avvenisse in mezzo alla strada. Se invece succede qualcosa di importante, in ospedale hai almeno la possibilità di salvare madre, bimbo e marito che sviene. A casa puoi caricare al massimo la gestante morente in macchina sperando non ci sia troppo traffico.
Dall'altro lato, quello della scienza, non ci sono nè maghi nè cartomanti, si tratterebbe di fare un'analgesia epidurale, che consiste in una puntura circa a metà della schiena che attutisce tantissimo fino ad annullare i dolori del travaglio e del parto.
L'epidurale ha pochissime controindicazioni ed in ogni caso l'anestesista valuterà se esistono le condizioni per effettuarla. Sembra esserci (ma ultimamente questa ipotesi viene contraddetta) un lieve aumento della possibilità di parto operativo (cioè con l'uso di strumenti ostetrici come la ventosa) e di taglio cesareo e l'ultima fase del parto sembra risulti prolungata di un paio di decine di minuti.
Niente altro. Nessun competizione con lo yoga o la riflessologia, non c'è proprio gara, il dolore è una percezione soggettiva ma l'unico modo di renderlo praticamente impercettibile (e qui dipende da tanti fattori) è l'analgesia epidurale.

Basta scegliere quindi: gli stregoni, la puntura o stare a casa.

Il problema sembra facile ma non lo è.
L'analgesia epidurale non è assicurata (per vari motivi) in tutti gli ospedali (e pure sarebbe un diritto sancito dalla legge) e quindi per molte future mamme l'unico rifugio alla paura del dolore è rivolgersi alle chimere del parto semplice e naturale. Un evento fisiologico quindi, invece di svolgersi in maniera naturale ma controllata e monitorata, diventa un rito sciamanico, i parti diventano party.
Sono tantissime le offerte di corsi di preparazione al parto basati su pratiche inutili e pseudoscientifiche, illusioni, miraggi. Yoga, riflessologia plantare, acquaterapia, Reiki, massaggi di tutti i tipi, pincoterapia e palloterapia.
Quanti di voi sono coscienti che il "parto in acqua" sia una pratica priva di qualsiasi fondamento scientifico?
Quanti sanno che agopuntura, riflessologia, cromoterapia e Reiki sono pratiche spacciate per efficaci e che invece non hanno mai dimostrato di migliorare gli esiti di un parto?
Ci si spinge fino all'estremo, a pratiche che non solo non hanno alcuna validità scientifica ma che possono rappresentare pure un pericolo per chi partorisce.
L'elenco delle pratiche "olistiche" per partorire è inesauribile così come è in crescita la nascita di "centri" per il "parto naturale". Libertà di scelta al solito, ma attirare le donne verso il parto "naturale" come se quello in ospedale non lo fosse è una furba mossa commerciale che ha un solo scopo: vendere.
Questi riti magici legati al parto non sono esclusiva di cliniche alternative o gruppi "new age" ma stanno facendo il loro ingresso (l'hanno già fatto in verità) nei nostri ospedali. In un'epoca nella quale si dovrebbe discutere di potenziamento di strutture inadatte, di organizzazione, di terapia del dolore c'è chi discute di massaggi cinesi, agopuntura, parto orgasmico e riflessoterapia. Come in Emilia, dove le ostetriche hanno preparato un depliant che spiega il corso di preparazione al parto e tra le varie metodiche di preparazione hanno inserito il chakra della radice o il massaggio con le bacchette cinesi.

Già, il chakra della radice, un punto "importante" che "apre l'energia". Peccato che il chakra è un'invenzione e l'energia non entra da nessuna parte. Nello stesso opuscolo anche il "cappuccio energetico" che fa "entrare in contatto con i processi vitali di regolazione" come il cuore ed il cervelletto (cioè metti le mani a cappuccio sulla testa ed entri in contatto con il cervelletto...).


Questa è sanità pubblica eh?
La paghiamo tutti noi ed invece di spendere questi soldi nell'aggiornamento del personale o nel miglioramento delle strutture (e ne esistono alcune davvero cadenti e pericolose), li spendiamo in incensi e giochi di prestigio.
In quell'opuscolo ci sono altre perle chi fosse interessato lo consulti pure.
Non sto qui ad elencare le pratiche più colorite, c'è di tutto e di più, ma una di queste sta cominciando a diffondersi a macchia d'olio.

Si chiama "Lotus birth" ed è in parole povere una pratica molto banale ma che promette chissà quali benefici. Il feto appena nato è ancora legato tramite il cordone ombelicale alla placenta (che è l'organo che permette l'ossigenazione e l'accrescimento del feto che non ha una propria indipendenza e quindi "preleva" dalla madre tutto ciò che gli serve per prepararsi alla vita).
Al momento della nascita l'ostetrica taglia il cordone ombelicale. Il bambino è nato e si aspetta un ultimo avvenimento: la fuoriuscita della placenta. Questo momento si chiama "secondamento", è come un "piccolo secondo parto": la placenta si stacca dalle pareti dell'utero e viene espulsa. In quel momento il parto vero e proprio è finito.
La placenta ormai non ha più scopo di esistere e va buttata.

Per chi pubblicizza il Lotus birth però non è così. Il cordone ombelicale non va tagliato e si aspetta la fuoriuscita fisiologica della placenta (che può avvenire immediatamente o dopo alcuni minuti) che resterà attaccata al feto per giorni, fino al momento in cui per fenomeni di necrosi si stacca da sola.
Assisteremo così ad un neonato che a differenza degli altri vivrà i primi giorni della sua vita con la placenta ancora attaccata al suo corpo. La placenta a quel punto è un "organo morto" e quindi per evitare fenomeni di putrefazione bisogna lavarla ogni giorno, proteggerla con un involucro (una busta di plastica andrebbe bene) ed aspettare che si stacchi.
L'odore non è certo piacevolissimo ed anche il fattore "comodità" della madre (che si presume allatti il neonato) non è per nulla favorito.
Ma a cosa servirebbe questa pratica che definire "singolare" è poco?
Ufficialmente a non far perdere al neonato una quota di sangue che viene trattenuta dalla placenta (che è piena di vasi sanguigni e quindi tratterrà un discreto quantitativo di sangue materno anche dopo che la sua funzione sia esaurita) evitando così problemi di anemia e carenza di ferro al neonato. Questo è l'unica spiegazione logica (ed in pratica senza alcun valore scientifico rilevante) di questo rito.
In realtà le associazioni che pubblicizzano questa pratica non si fermano a questo. Vanno oltre. Tanto oltre.

Secondo il sito italiano che pubblicizza questa pratica la placenta si stacca spontaneamente dal neonato quando "entrambi, bambino e placenta, hanno realmente concluso il loro rapporto e decidono sia giunto il momento della separazione" e lascia un po' stupefatti che siano neonato e placenta a "decidere" quando separarsi. In realtà la placenta ha un'unica funzione: ossigenare e far giungere al feto i nutrienti necessari al suo sviluppo intrauterino. Il "rapporto" tra placenta e bambino cessa nel momento stesso in cui il neonato comincia a respirare spontaneamente (subito dopo la nascita) ed a nutrirsi con il latte materno. L'unica reale motivazione che giustificherebbe (in teoria, non in pratica) il distacco ritardato della placenta dal neonato sarebbe quella di lasciare che tutto il sangue trattenuto dalla placenta possa passare da questa al bambino. In realtà già con un normale parto nel quale la placenta viene separata dal bambino dopo circa 15-20 secondi (è il tempo medio, in genere il cordone si "clampa" cioè si chiude, entro 30 secondi), si è visto che la quota di sangue trattenuta dalla placenta non compromette assolutamente il benessere del neonato (ricordo anche che chi sta leggendo è nato con tutta probabilità in questo modo), i casi di anemia neonatale sono casi più unici che rari e questi sono fatti.
Ritardare il "clampaggio" (si chiama così la chiusura che precede il taglio del cordone ombelicale), non modifica la maggioranza dei valori ematici del neonato, nè quelli legati alla presenza di gas (come l'ossigeno o l'anidride carbonica) nè il pH (quindi l'acidità o la basicità del sangue neonatale). Vi è invece un aumento relativo del ferro presente nel sangue (circa 2 g/dl in più nei neonati con cordone clampato in ritardo) neonatale, aumento che persiste per circa 6 mesi.
I livelli di ferro dei neonati ai quali il cordone è stato clampato nei tempi comunemente utilizzati (entro 30 secondi) sono in ogni caso non patologici e non espongono a particolari conseguenze.

Lasciare quindi la placenta attaccata al neonato non produce alcun beneficio particolare ed al contrario si è notato un aumento di infezioni (ricordo che la placenta, tramite il cordone ombelicale, è "collegata" al neonato) che in alcuni casi (rari, per fortuna) si sono dimostrate molto gravi. Altra complicanza del clampaggio ritardato del cordone può essere un aumento di casi di ittero neonatale che necessita di terapia con raggi ultravioletti e quindi prolungata ospedalizzazione del neonato.

Di fronte ad un possibile rischio quindi abbiamo un beneficio pari a zero.
Per questo motivo il Lotus Birth è considerato un vero e proprio "rito alternativo", una procedura che vaga tra il mistico e l'orientaleggiante e che per darsi un'aria pseudomedica (come sempre) si ammanta di prove scientifiche che nella realtà sono molto deboli.
Non si tratta solo di un "sospetto", l'occasione per parlare di pseudomedicina e rito magico, la forniscono gli stessi fautori del Lotus Birth quando dicono che il periodo nel quale la placenta resta attaccata al neonato: 
E' un periodo di transizione in cui il bambino può separarsi dal corpo della madre dolcemente e gradualmente e completare il suo corpo eterico (il corpo eterico è quella parte invisibile all'occhio fisico, è la parte più importante di noi che fa percepire le sensazioni).
Umh...qui parlano di "corpo eterico". Sarò materialista ma al momento del parto io di corpi eterici non ne vedo e se durante una visita ostetrica utilizzassi il pendolino al posto dell'ecografo per valutare il corpo eterico molto probabilmente qualche collega mi consiglierebbe un buon periodo di riposo.
Ma è la visione della placenta che completa il quadro paranormale del Lotus birth: [...] la fase in cui nasce la placenta, e ad onorare quest'ultima quale prima fonte di nutrimento del neo-nato.
[...] bambino e placenta sono formati dalle stesse cellule, hanno lo stesso DNA e, pertanto, condividono un'unica risonanza.

Onorare la placenta? La stessa "risonanza"?
Da quando esiste l'uomo la placenta dopo il parto finisce dritta in pattumiera, vuoi vedere che commettiamo sacrilegio da secoli?
Ed infine ecco le motivazioni di una scelta che appare sempre più chiaramente come un rito wodoo:

Significa fare una scelta consapevole, ecologica e spirituale in sintonia con il proprio stile di vita e con i propri pensieri.

Perchè lasciare attaccata la placenta sarebbe una scelta ecologica?
Perchè spirituale?
Sono i misteri dei parti sempre più mistici che alcune associazioni e qualche mamma cominciano ad appoggiare.
La scuola del parto visto come rito tribale, come fenomeno paranormale e quasi da baraccone è abbastanza diffusa e non a caso nelle tribù umane bisognava vivere il parto come una cerimonia e, visto che non vi era alternativa, trasformare il dolore in "risorsa divina". Anche noi della "civile" Italia siamo stati una tribù e la donna nella nostra tribù ha sempre "donato" a Dio. Il sesso si fa per fare figli (sia mai che possa essere anche un gesto di affetto o peggio di piacere!), il parto anche e con gli occhi umidi al cielo le nostre donne, dal 1700 ad oggi, devono continuare a donare il proprio dolore, devono offrirsi agli Dei, un tempo cristiani, oggi globalizzati.
Tutto parte dalla scuola francese. La Francia è considerata la "patria" della moderna ostetricia, una nazione moderna, civile e ricca che offre alle future mamme dei servizi che in Italia spesso ci sognamo ma è propriò lì che prendono piede alcune teorie di "parto dolce" che da futili consigli per affrontare meglio, soprattutto psicologicamente, il momento del parto, hanno avuto tanto successo da diventare vere e proprie scuole di vita...e di nascita.
Due nomi su tutti Michel Odent e Frederick Leboyer.
Li conosceremo al più presto perchè c'è tanto da dire...

Alla prossima.

Un interessante blog che si occupa di epidurale negata e di parti "paranormali" lo trovate qui.